Nightclub e striptease: La danza del basso ventre
Ogni corte che si rispetti ha i suoi intrattenimenti autocelebrativi, siano buffoni e giocolieri per dimenticare col sorriso le angustie del vivere, siano prove di forza per eccitare gli animi. Nelle metropoli anche il popolino gay con portafoglio ha il diritto-dovere di testimoniare la conquista del benessere mediante adunate rituali nelle quali far teatro delle proprie passioni e esprimere collegialmente gli istinti.
Nel nuovo impero dei sensi gay è perciò possibile assistere a spettacoli ed esibizioni il cui duplice scopo è promuovere la fedeltà al prodotto di consumo (spendendo denaro e risorse psichiche nel circuito dedicato) e ribadire i punti forti della piattaforma contrattuale con la società (trasgressione, erotismo, culto dell’immagine). Come si sentono lusingati i frequentatori dei disco/sex bar (specie coloro che di giorno scompaiono nella folla o si mettono in riga) di essere stuzzicati, invogliati, corteggiati dalle pubblicità che li descrivono quali sultani del godimento!!
Perché negarsi qualche voglia particolare e perché farsi scrupoli nell’acquisto di beni, uomini e cose?! Pezzi grossi della licenza erotica per qualche ora o per il fine settimana, è giusto abbiano a disposizione ruffiani e seduttori prezzolati che diano l’ebbrezza del potere nella sfera sessuale senza le seccature e i pericoli delle transazioni private. Al calar del buio può dunque avvenire il riscatto, ci si può trasformare in vendicatori di se stessi e la rivincita consiste nel veder servita su un piatto d’argento la pietanza preferita, che poi è anche l’unica: il corpo e gli attributi maschili.
Gli idoli sono al contempo oggetti ridotti o assimilati a belli senz’anima, spesso giovani e giovanissimi pagati dai cultori e fans più spiritualmente che materialmente. Animatori e spogliarellisti sono pertanto un ingrediente fisso di ogni genere di iniziativa, reclutando da un lato orfani e diseredati alla ricerca di affetto e ammirazione e dall’altro lato freddi calcolatori e parassiti senza peli sullo stomaco. L’effetto è ambiguo e confuso perché sulla scena si muovono personaggi poco chiari a dispetto dei sorrisi e delle nudità, dilettanti allo sbaraglio nella corrida del piacere e professionisti dell’uso strumentale del sesso…
In tre, come le grazie e il numero perfetto, suoniamo al portone scuro privo di insegne, sbrighiamo le solite formalità della Card previste dal partito dei diversi italiani e ci troviamo immersi in un luogo indefinibile, due sale di modeste dimensioni che fanno pensare ad uno scantinato sistemato alla bell’e meglio per una festicciola privata in un paesino di provincia di trenta o quaranta anni fa. Eppure, siamo proprio a Milano, e per giunta a piano terreno. Si contano sulle dita della mano gli avventori, per lo più uomini maturi, chi annoiato chi impaziente, luci dai colori grevi su pareti cupe ed arredi insignificanti. Mi viene da fare il paragone con una discoteca visitata ad Alessandria d’Egitto nel 1997, l’impronta mediterranea e mediorientale tra incuria ed approssimazione, il senso di precarietà e nell’aria la minaccia di una retata della polizia. La temperatura fisica ed emozionale ci ricorda che siamo al nord, e non per le scarse presenze (appena qualche grado in più nel clou orgiastico col massimo affollamento). Su un divanetto vicino al bancone giace una coppia formata da un anziano e un giovanotto, sono avvinti in un abbraccio statico e persi in una lontananza da tappezzeria. Alla cassa ci informano che è previsto lo strip, anzi la terza e conclusiva parte di una gara di cui si sono già svolte due manche, e questo spiega sia il costo dell’ingresso sia l’assenza di clientela nel momento del nostro arrivo, poco dopo le 23, roba da principianti o da tagliati fuori dal giro. Sbadigliando e resistendo alla chiusura automatica delle palpebre, attendiamo più di due ore per assistere allo strip-tease, ricompensati invero dall’osservazione assai istruttiva della flora e della fauna. Ci tiene compagnia un bel signore d’altri tempi, capace di fuochi d’artificio verbali, motti arguti e citazioni colte, attacca bottone per la delusione di aver trovato chiuso l’accesso al sotterraneo, cioè la dark-room da lui efficacemente definita “porcile”, e di dover rinunciare al pasto di avanzi ritenuto compreso nel prezzo. Tanto valeva allora andare in uno di quei posti (la palma dello squallore va ad una nota sauna ove la sporcizia è di casa) che garantiscono di “scopare” comunque e a chiunque!! L’uomo saggio e dalle molte qualità, da cui in tanti potrebbero imparare la lezione della storia e della vita, in grado di radiografare e diagnosticare il male dei fratelli nella colpa, in quanto gay si considera votato al martirio della compulsione sessuale e si rassegna a sentirsi un porco, reclamando di conseguenza il fango nel quale rotolarsi e perdersi in tutti i sensi. Preso posto su sedie scomode in una zona d’angolo, a cominciare dalla mezzanotte vediamo sfilare figure carnevalesche più che circensi, uomini robusti e over 50/60 in costumi da vecchie baldracche, completi di accessori, dalla testa imparruccata ai piedi fasciati in scarpone con tacchi altissimi. Sono i travestiti del week end, di rigore in certe occasioni, individui che pagherebbero per poter far uso di trucco e indossare i panni dell’altro sesso (si fa per dire) e così conciati guidare l’automobile, fermarsi in una stazione di rifornimento, recarsi in un localino e recitare la commedia con maggiore o minore convinzione. Che sollievo scordarsi della propria identità e miseria, credersi attori di una fiction, permettersi il lusso di liquidare intenzionalmente il proprio sesso (debito di natura) e fingere di scherzare sull’orrore dell’evirazione! Non ce n’è uno di cui si possa dire che ispiri fascino, nessuno che trasmetta grazia, levità, dolcezza, giocondità. Non c’è bisogno infatti di lingerie ed orpelli per esprimere il femminile dell’uomo, quello inerente al maschio e non alla donna. Portano le vesti volgari in modo ulteriormente triviale, sarebbe uguale se indossassero tute da meccanici perché l’essenza è e rimane grossolana e plebea. Fanno loro da contrappunto gli habitué della prostituzione maschile, schierati quasi tutti da un lato nella saletta da ballo. I veterani del sesso a pagamento coi capelli bianchi paiono più spaesati, la promiscuità con modelli estetici e gusti diversi risulta imbarazzante e impedisce la condivisione, troppo differenti gli stereotipi e i feticci erotici. I pochi puledri e manzi in offerta sono a loro volta disorientati, mancando il tavolo e non essendo chiare le regole il loro asso resta nascosto nella manica, in attesa di un cambiamento di scenario. Inoltre, l’esistenza di protagonisti ufficiali del palcoscenico costringe i maschietti mercenari a fungere da comparse o peggio ancora da fondale. Completano la platea e ne siglano la disomogeneità una ventina di tipi di mezza età, di difficile inquadramento sociologico, i veri voyeur destinatari del varietà in cartellone. Sono arrivati nel frattempo alla spicciolata i cinque mattatori, rigorosamente stranieri, destinati al sacrificio rituale dello spogliarello, impegnati in una competizione all’ultimo centimetro di pelle per conquistare la vittoria. Le presentazioni del padrone di casa in succinto abito muliebre si limitano all’elencazione dei nominativi degli sfidanti, intercalati dai canonici fischi del microfono. Ci siamo, parte la musica, incalzante e assordante, gli applausi accompagnano le performance dei candidati, pur dovendo a più riprese venire sollecitati, si avverte la mancanza di partecipazione spontanea e non si arriva mai all’amalgama tra gli astanti, ciascuno si conferma singolo e isolato, il calore non sale, pressoché impossibili l’identificazione e l’empatia a causa della non naturalezza del contesto. Provo un senso di pena per gli uni e per gli altri, secondo me i più si accorgono dell’inganno e della reciproca estraneità, benché sia io a sdoppiarmi e fare da osservatore esterno. L’aria viziata, però, non è un’impressione, perché a dispetto del divieto c’è chi fuma con non chalance. Lo show è strutturato in tre fasi distinte segnalate dal cambio dei motivi musicali: si tratta di pseudo-balletti (verdi per la tonalità dell’illuminazione), condotti con improvvisazione eccessiva, movenze meccaniche e talora incomprensibili (per esempio, lo strusciamento sul pavimento); nella sezione terminale il re è nudo e deve gestire i minuti a disposizione per accaparrarsi i favori dei clienti. Chi più chi meno sfruttano tutti la brama dei convenuti di contemplare la giovinezza e la virilità idealizzate, mirano a farsi desiderare per (im)puro narcisismo, interessati soltanto a vedersi nelle pupille altrui e fingendo con sussiego di accorgersi degli estimatori e guardoni. Il primo a scendere in pista ha il compito più ingrato, dovendo creare l’atmosfera e rischiando di sbiadire presto nella memoria visiva degli spettatori. È un brasiliano pallido che sembra dover solo preparare il terreno agli altri, rivelandosi in effetti il più stagionato e con un fisico più ordinario, per contenere il disagio e proteggersi dagli esaminatori porta occhiali scuri per l’intera durata della prestazione, si mantiene sulle sue e conclude in maniera sofferta tra il disinteresse generale per i suoi magri genitali (sarà gay?). Il secondo è un mezzosangue arabo, di piccole ma armoniose dimensioni, i cui occhi cercano di continuo la parete a specchio per sostenersi e al contempo astrarsi dalla situazione; una volta privo di indumenti, indugia a lungo sul vedo non vedo del pene esiguo, coprendolo con lo slip tenuto nel pugno e tentando senza successo di allungarlo tirandolo con le dita, si protende e spinge a mo’ di onda sulla spiaggia nelle braccia di questo e di quello, è verosimile che cerchi riparo allo smarrimento invitando a toccare e ammiccando con una smorfia amara sulla bocca. Giunto incautamente sulla mia riva, di fronte alla espressione del mio viso, quasi fosse stato indotto ad una dichiarazione alla stampa, esclama: “Cosa dovrei dire io che sono etero e faccio lo spogliarello! Sono sposato…”. Meditate, verrebbe da dire, se il cervello avesse un ruolo in simili consessi! Il terzo, uno slavo sui venticinque anni dal corpo ben scolpito, si giostra con più disinvoltura e autocompiacimento tra la folla, si denuda più in fretta e punta a sedurre con la massa muscolare fronte-retro e l’organo di cui riesce a ottenere con sforzo, a furia di strattoni, un po’ di ingrossamento (ah, il consueto assillo della misura!). Non resiste al centro e più ancora dell’arabo percorre il perimetro del cerchio, aderendo a scatti a parecchi degli anelli della catena umana circostante, per superare la tensione nervosa “palpabile”. Ignorando la sorte del precedente, mi si accosta e chiede a gesti di essere toccato nel punto c, il mio rifiuto lo sorprende e offende, inimmaginabile che il prodotto non piaccia o non sia appetibile, non sono anch’io lì per quello?! Allora dichiara: “Non morde mica!”. Tra i denti ha la frustrazione del vedersi smascherato quale banale prostituto e svalorizzato per assenza di mercato, mentre io avverto con fastidio l’odore del suo profumo dozzinale. L’oggetto del desiderio si scopre oggetto tout court, per poco perché c’è chi provvede a tastare, saggiare, apprezzare, approfittare dell’occasione. Il quarto è un brasiliano di tutt’altra pasta, alto e ben piantato, con rotondità da fanciullone e non da culturista, comincia con una divisa da marinaio, manifesta abilità nel ballo e fa il micione con gli intraprendenti commensali, si percepisce che è rilassato e si diverte (a differenza dei concorrenti, compreso il successivo); il segreto è presto svelato, perché il suo è il membro di diritto, sapersi molto dotato gli dà sicurezza e rende superflua o preliminare la coreografia. Il quinto è biondo, forse polacco, vestito di tutto punto con tanto di cravatta, azzarda un numero da cabaret, pare preso dalla recita secondo copione, infine mostra il fisico curato e costruito, con freddezza e distacco offre agli sguardi e ai palpeggiamenti le parti basse, nel suo caso è più chiaro chi detta le regole e qual è l’altra faccia della presunta luna di miele col pubblico: sono coloro che guardano ad essere al servizio dello stripman e a dovergli corrispondere. Chi pensava che i monellacci sotto i riflettori fossero bestiole ignude, indifese e aspiranti a carezze amorevoli o lubriche, deve ricredersi, qui c’è il rischio di farsi male e ricevere morsi. Si siede sulle mie gambe dandomi la schiena e il mio vicino fa una avance sul suo petto, provocando la sua dura reazione: “No, sennò mi eccito e divento un animale!”. Capito il messaggio?! Danzatori senza veli, gladiatori delle natiche e del fallo, lottatori della seduttività: siete gli schiavi della decadenza moderna o le avanguardie dell’esibizionismo universale di domani?! Ai posteri, per mia fortuna… È il momento della votazione, il nome del preferito va scritto su un foglietto sgualcito allegato al biglietto delle consumazioni. Intorno a noi le voci sono già un coro, è il quarto a meritare il trionfo perché ricco dell’unico vero talento virile, la graduatoria non può che essere quella della verga, l’abilità nella svestizione nient’altro che un alibi o una mistificazione. D’altronde, non è l’evoluzionismo a spiegare la diversificazione della dotazione genitale con lo scopo di determinare o indirizzare le gerarchie tra maschi?! Il mio voto va a un altro, ma è segreto; taccio altresì sulla proposta di conferire l’Ordine della Giarrettiera… Non aspettiamo la proclamazione del vincitore e ci affrettiamo all’uscita, risparmiando alle nostre orecchie le canzonette di prammatica dei travestiti. Sono passate le tre e per oggi può bastare la dedizione alla causa. Fatte le debite proporzioni (senza malizia), rilevo che proprio l’esclusione della pratica sessuale crei le condizioni per una seppur minima socialità, alleggerendo il clima e costringendo a una presenza più personale, premessa indispensabile per la comunicazione e lo scambio relazionale. Certo, mancando punti di contatto culturali, esistenziali, valoriali, è un’illusione sperare nel senso di appartenenza. Se la domanda e l’offerta si limitano alla fruizione di feticismo e di fantasmi sessuali, l’individualismo e l’isolamento sono gli effetti collaterali obbligati della pretesa medicina per la diversità. La conclusione è la solita: siamo figli di un dio minore, o forse minorato. Mattia Morretta (2007)