AIDS. L'oscuro effetto del contagio Babilonia, N. 28, Settembre 1985
Il teologo medioevale Alberto Magno considerava l’omosessualità una malattia contagiosa, particolarmente diffusa tra i ceti abbienti e curabile mediante prodotti medicinali. Tutte le teorie che hanno fatto riferimento all’importanza della seduzione e della suggestione, pur facendo capo al concetto di apprendimento dei comportamenti su imitazione o per rinforzo, hanno evocato la fascinazione irrazionale cui nessuno, a priori, avrebbe potuto sottrarsi posto nelle condizioni adatte.
Da questo punto di vista, l’omosessualità ha riassunto il carattere di tentazione universale dei peccati della carne. Una concezione per certi aspetti epidemiologica, per la proprietà di contagiosità psichica, largamente diffusa a livello popolare come preconcetto non esplicabile, quasi potesse sussistere una propagazione per contatto e in alcuni casi tramite la vista e l’udito.
Gli stessi gay condividono la credenza quando sostengono di poter sedurre qualsivoglia maschio normale, oppure quando fanno mostra di preoccuparsi delle conseguenze di atti con partner adolescenti o puberi, manifestando il vissuto di una contaminazione potenziale a causa della “sporcizia” interna, quasi microbica, congenita o acquisita.
Tutto ciò travalica le rappresentazioni spregiative sociali, poiché attinge allo schema perverso in cui si inscrive l’immaginario omosessuale. Il timore del contagio da contatto sessuale dipende dalla connotazione monotematica in senso sessuale degli individui e dei rapporti omosessuali
La fantasmizzazione del Grande Inquisitore sin troppo facilmente riconducibile alla angoscia di castrazione quale significato ultimo della punizione, quale minaccia all’integrità del Sé. La relazione oggettuale di tipo pregenitale è associata a fantasmi distruttivi, ambivalenza, invidia, rivalità, qualificano come prevalentemente aggressive le pulsioni favorendo fobie e ossessioni-compulsioni.
Gli approcci tra maschi ricordano i cerimoniali in uso tra gli animali, ponendo in primo piano la verifica del grado di fiducia reciprocamente accordabile e l’esigenza di scongiurare l’aggressività del partner.
Mediante contatti anonimi e occasionali, genitalizzati ed evacuativi, si mantiene l’altro a distanza di sicurezza proiettando liberamente immagini di estraneità inimicizia minaccia mortale, rendendolo ombra della personalità e occasione di scarico degli oggetti negativi interni, un gioco sadomasochistico di attrazione e repulsione, fascinazione passiva e disprezzo.
Si mescolano valenze aggressive di oralità depredatoria e anali di timore-desiderio di sporcare o essere sporcato, l’angoscia per il potenziale scatenamento incontrollato della rabbia, l’attribuzione ad altri dell’intenzione di dominare soggiogare danneggiare parassitare, identificazione autopunitiva con l’oggetto odiato inconsciamente, sopraffazione e invasione da parte di forze occulte e incontrollabili.
L’egodistonia esige che l’altro sia un persecutore o un esattore del dazio, un sosia nel peggio, una cattiva compagnia per definizione, occasione di paranoia e scontro finale nel quale trovare o dare la morte.
Uno schema autoritario di controllo mantiene il sesso al livello di energia selvaggia indomabile cui soggiacere con una carica di aggressività fatale da furia devastatrice, sicché nel contatto intimo si verifica l’irruzione dell’istinto, dell’emotività, dell’inconscio dionisiaco, un raptus con panico e angosce catastrofiche.
Tali fenomeni sono più frequenti nei soggetti che affrontano in maniera rigida, volontaristica o velleitaria le situazioni ansiogene. Molti gay vivono nei confronti della vita istintuale ed emotiva un rapporto molto conflittuale, con una preoccupazione continua circa l’autocontrollo razionale. Una parte della personalità ricerca e pone in atto nella vita sociale adeguamento a un’idea di ragione che coincide con la repressione esasperata dell’affettività e della spontaneità; ordine, pulizia, apparente irreprensibilità e moralismo paiono strumenti di compensazione dell’omosessualità non accettata che domina in modo irrazionale il resto della personalità.
Un razionalismo rigido e astratto, che nega spazio all’autenticità emozionale, è esposto per forza di cose all’improvvisa irruzione dell’istinto, del panico e delle fantasie di catastrofe collegati alla liberazione dei desideri soffocati.
È intuibile, pertanto, in che misura un simile terreno permetta l’attecchimento di fantasmi paranoidei e la fioritura di ansie circa la perdita del controllo dell’aggressività non mentalizzata o elaborata.
Padronanza di sé e temperanza presuppongono la conoscenza e l’applicazione ad un lavoro su sé stessi, il che equivale per i gay al recupero dell’anima. La via della razionalità e quella della emozionalità devono avere intersezioni e ponti che consentano il movimento in ambedue le direzioni. Perciò è necessaria un’educazione al coraggio, alla consapevolezza e alla responsabilità, al fine di mantenere viva l’idea di un’etica soggettiva praticabile.
Mattia Morretta