Cattive compagnie
"A ben pensarci solo pochissimi hanno provato per me stima e riconoscenza ; la maggior parte non avrebbe mai accettato di fare all’amore con me se non avesse avuto bisogno di soldi. Poveri ragazzi! Chissà quanto hanno sofferto!" (Ihara Saikaku, L’amore di una marionetta in una scatola, Libro Ottavo, 3, Il grande specchio dell’omosessualità maschile , 1687)
Chi sono i maschi che propongono il loro corpo-pene come merce di scambio con il denaro-desiderio di altri maschi? E chi sono gli uomini che, in maniera abituale o comunque preferenziale, si rivolgono ai prostituti per avere rapporti sessuali o intrattenere relazioni?
I casi di cronaca nera pongono l’accento sul crinale pericoloso e distruttivo di tali transazioni, mostrando per lo più omosessuali maturi vittime di giovani emarginati o marginali, attualizzando con le connotazioni sociologiche tipiche del periodo un fenomeno noto e in qualche modo dato per scontato da tutti. Limitandosi soltanto agli ultimi due secoli, non sono poche le figure di intellettuali, artisti, politici o scienziati identificabili come gay finiti male per mano di «ragazzi di vita» o semplici «figli del popolo», vuoi in senso letterale (veri e propri omicidi) vuoi più in generale attraverso le mille varianti della criminalità (ricatti, estorsioni, aggressioni, minacce, sfruttamento...).
Viene da chiedersi se non sia proprio la mescolanza di erotismo e violenza a caratterizzare e motivare tali “contatti”; oppure, se non sia inevitabile il rischio della vita nel confronto sessuale (sessualizzato) fra generazioni, classi sociali o gruppi etnici. D’altronde, quanti sono i contesti considerati ordinari da molti gay per la ricerca di partner in cui risultano davvero labili i confini tra eccitazione sessuale e attrazione per il pericolo? Pagare con denaro, con soggezione psicologica, con perversione o morbosità l’espressione del proprio desiderio sessuale, non è già favorire il degrado? Non sarà breve il passo, a quel punto, tra l’abuso sessuale e la guerra per la sopravvivenza?
Il pene può essere usato come arma di offesa. Del resto, gli episodi sociali di persecuzione e minaccia non sono molto diversi nella sostanza dalla reazione violenta del singolo prostituto nei confronti del partner, magari dopo la consumazione dell’atto sessuale. Sono tutte situazioni in cui giunge alle estreme conseguenze una angoscia arcaica o ancestrale relativa a vissuti di "impotenza" e "passività": una vittima è necessaria per ristabilire il senso di identità e integrità del carnefice.
Il malcapitato di turno si trova così sacrificato in un rituale barbaro destinato solo ad alleviare il malessere di individui parassitari e inetti. Il contrasto tra forza presunta e vulnerabilità psichica effettiva del prostituto/aggressore genera infatti una brutalità che diviene distruttività quando la paura lievita sino al terrore. Ne dà un’efficace descrizione Aldo Busi in un libro di qualche anno fa, riferendosi in generale ai tanti nanerottoli della maschilità abituati a sentirsi giganti grazie al contributo di altrettanti gay disposti a rinnegare la propria umanità: "Sentivo come questi ragazzi mi odiavano, improvvisamente, perché mi opponevo agli esorcismi con cui essi, derubandomi della mia virilità, avrebbero arricchito semplicemente la loro pur facendo qualcosa di poco virile secondo la morale del virilismo da strada, o come mi detestavano perché gli rendevo impossibile, a modo loro, un’avventura sessuale con me dopo che si erano illusi di avermi in loro potere coi vecchi sistemi usati con omosessuali comuni". ( Cazzi e canguri ,1994)
Per lo più senza averne piena coscienza, alcuni maschi narcisisti sanno e sentono che l’omosessuale può costituire un surrogato o un sussidio erotico, a disposizione per principio ed esistente per loro beneficio, a metà tra le fontane di strada e le pattumiere pubbliche: senza troppi scrupoli, vi possono perciò far convergere godimenti estemporanei addirittura retribuiti, deiezioni e rifiuti di ogni genere, pretese di gratificazione comunque autorizzate. Lo "sfogo" cui per tale via accedono nell’atto sessuale è già di per sé un groviglio di erotismo e aggressività; una miscela che sembra preferita anche dai loro partner per far funzionare il motore di un erotismo da battaglia.
Negli ambiti più scabrosi del mercato del sesso, ulteriore violenza viene aggiunta dalle modalità sbrigative e impersonali del contatto, dal contesto sovente a rischio degli incontri, dallo stesso passaggio all’atto con individui non di rado affetti da disturbi mentali. L’incastro forzato di interessi contrastanti e la reciproca estraneità non mitigata da regole civili possono dar luogo ad una sorta di cortocircuito fino all’incendio. La provocazione di un atto comune o di un legame pur transitorio sortisce un gesto sessuale (spesso con minimo contatto fisico), ma la lotta e la guerra sono soltanto esiti meno probabili; e questo in tutti i rapporti in cui la prossimità dei corpi non è sufficientemente giustificata da motivazioni condivise.
Viene da chiedersi: l’erezione economica del prostituto è agognata anche perché "punitiva"? Il liquido spermatico sarà latte e fiele al contempo in quanto prodotto di organi sfruttati e violati (costretti a funzionamenti e scopi impropri)? E ancora: è la dinamica di potere a motivare e reggere il gioco del confronto-scontro tra cliente e prostituto? e quanto conta la disparità socioeconomica tra i due, che definisce la superiorità dell’uno e l’inferiorità dell’altro?
Al di là dei suoi risvolti più drammatici, tuttavia, se guardiamo allo scenario presente, non si può nascondere l’evidenza della generalizzazione del fenomeno: la prostituzione dilaga nell’ambiente omosessuale, e si dimostra a misura di una sottocultura ossessionata dalla ricerca del godimento e avida solo di sensazioni, in cui gli appetiti e i gusti trionfano e si impongono (vengono imposti) come «valori alternativi».
Altro che conseguenza di un controllo repressivo della sessualità o male minore per la difesa della reputazione : niente di più comodo nella nostra epoca e nei nostri quartieri all’avanguardia che comprare il sesso concepito come prodotto di consumo, separandolo dalle altre componenti della personalità e da ogni istanza relazionale! La normalizzazione che negli ultimi anni ha promosso come modello qualsiasi condotta sessuale, dipinge con vernice dorata e fresca le sbarre di una prigione in cui il piacere è posto al servizio di cause tutt’altro che nobili.
Tutti i maschi che si prostituiscono, compresi quelli più recenti a denominazione d’origine gay (certificata magari da tessera similpolitica nei locali in cui sono previsti per intrattenere il pubblico!), mirano all’esercizio abusivo del proprio illimitato e sterile esibizionismo, nonché a godere del potere che hanno o presumono di avere sul cliente omosessuale spacciando per virtù il vizio della mercificazione e per talento l’abilità di non apprendere arte alcuna.
Da provetti mestieranti, essi sembrano mettere da parte le preferenze, l’irritazione e il disgusto che pure ci si potrebbe attendere di fronte a rapporti obbligati, per protestare i crediti della loro insaziabile vanagloria: il pene vanitoso si erige con facilità e il corpo si concede con pressoché assoluta indifferenza rispetto alle caratteristiche estetiche dell’acquirente (almeno in apparenza).
I professionisti del settore si mostrano e dichiarano sempre “disponibili”, pronti in cambio del denaro a far scattare sull’attenti un sesso da marionetta o da robot, mentre chi acquista la merce appare in preda alla disperazione di una “mancanza”, nonostante il “potere” di acquisto e lo “status” di adulto consumatore. E non basta la promessa pubblicitaria di gloria e libertà nel paradiso terrestre della omosessualità praticata senza colpa, per cancellare del tutto la percezione dell’inganno.
Anche se la mortificazione dovrebbe riguardare soprattutto chi si vende, di fatto il cliente appare come “umiliato” se non altro perché in stato di bisogno e di soggezione psichica, debole in quanto in balia del “desiderio” di un oggetto accessibile solo per il tramite del denaro e quindi sempre precario e da riconquistare.
Il prostituto si mostra sicuro di sé grazie alla merce che può vantare di possedere e porre in vendita, o meglio dare in usufrutto : un corpo ordinario e un pene sovente di varietà comune, eppure vissuto come meraviglioso e straordinario dai clienti, quasi si trattasse di un oggetto esotico o di un amuleto (di fatto, ha a che fare con la fatidica bacchetta magica!).
A un primo livello, si può dire che il cliente paghi per avere un diritto o non avere un dovere : non essere soggetto a valutazione dal punto di vista fisico, morale e intellettivo, superando problemi estetici, di età e di abilità comunicative, di seduzione e conquista, persino di classe sociale (non è indispensabile essere veramente ricchi). Chi paga occulta il proprio handicap relazionale con il gesto dell’elargizione del denaro, che ne fa un soggetto che si può permettere (anche agli occhi del prostituto) una forzatura della sorte. Al contempo, col denaro si crede di comprare la possibilità di partecipare di qualità possedute dal prostituto: avendolo accanto (fosse solo per un’ora) il cliente può dire e dirsi di accompagnarsi ad individui ritenuti attraenti, poiché eccellono in qualche dote fisica o sono considerati sessualmente preziosi (al punto di arrivare a mettere in vendita un patrimonio o una risorsa da essi posseduta più che da altri).
Il prostituto, in effetti, è percepito/concepito come ricco dal punto di vista erotico: potente nel sesso perché abile nel praticare, perché dotato a livello corporeo o genitale, capace di manifestare esibizionismo e di pretendere attenzioni per l’aspetto fisico o una data caratteristica somatica. È un soggetto carico di investimenti psicologici, erotizzato dalle fantasie e dalle proiezioni altrui che arriva ad identificarsi con l’oggetto del desiderio di molti e ad impersonarlo realmente.
Egli si fa veicolo di fantasmi collettivi, latore (a volte consapevole) di messaggi che non si fermano su di lui e non sono a lui indirizzati; egli fa circolare aspetti della psiche maschile in un ambito che riproduce in miniatura e in modo stereotipato le dinamiche di attrazione e repulsione tra maschi di diverse generazioni, agendo le componenti sessuali altrimenti sublimate o virtuali. In tale maniera egli attiva ed erotizza, drammaticamente e con pericolosa immediatezza, il circuito degli scambi tra uomini portando in primo piano e concretizzando la componente sessuale che in altri contesti e nella società rimane solo allusiva o viene vissuta in forma simbolica.
Pertanto, diviene bene pubblico insieme a merce: può essere allora trofeo, bell’animale, macchina potente, cosa, così come figlio, amante, supermaschio, semidio... Goderne sessualmente comporta l’assimilazione, come nel cannibalismo, di essenze o virtù non possedute in proprio : la giovinezza, la bellezza, la prestanza, il narcisismo, la tracotanza, la leggerezza. Alla fine egli finisce per incarnare ed amplificare, in casi particolari di predisposizione, soprattutto gli aspetti oscuri e negativi del sesso e dei fantasmi a esso associati.
Diviene talora mostro in cui dell’elemento erotico rimane poca traccia, mentre predomina sino alla sopraffazione l’elemento del potere e della violenza: non è più in gioco il sesso per o con qualcuno, bensì il sesso su o contro un potenziale nemico.
Se è vero che le dinamiche e le problematiche sono rimaste sostanzialmente stabili nel tempo, gli scenari e i protagonisti della prostituzione omosessuale sono molto mutati negli ultimi decenni. Già Pasolini aveva dovuto volgere lo sguardo verso il terzo mondo per poter vagheggiare quel miscuglio di incoscienza e rozzezza, che molti gay identificavano e in parte ancora identificano quali tratti distintivi degli esemplari di giovane maschio umano candidato-candidabile al baratto sessuale.
All’epoca si trattava di un tipo di virilità “primitiva”, connotata dall’orgoglio del possesso del pene e a cui veniva attribuita l’essenza del Principio Maschile in forma pura, sia per l’effettiva o presunta non contaminazione col Principio Femminile (estraneità, disprezzo, contrapposizione, dominio nei confronti della donna) sia per la mancanza di una vera coscienza della sessualità (ignoranza dell’idea stessa di orientamento sessuale e predominanza dell’identità di genere). Ai suoi rappresentanti l’appartenenza alle classi subalterne serviva a conferire la naturalezza e l’innocenza di un’identità maschile altrimenti ritenuta adulterata dalle buone maniere e dalla civiltà delle classi superiori.
Oggi, i nostalgici del rapporto (a metà tra la lotta e l’esorcismo) con i maschi fallico-narcisisti, si rivolgono, volenti o nolenti (il che talora rafforza la nota fatalistica dell’attrazione), verso gli extra- comunitari che hanno sostituito i giovani e aitanti meridionali (anche nella variante araba, nord-africana e mediterranea), e che sono diventati - quanto impropriamente - i depositari di un fantasma uomo-sessuale sempre più evanescente. Grazie ai loro modi rozzi o “ingenui” da figli del popolo (in quanto membri di società arretrate dal punto di vista culturale ed economico) , al linguaggio povero e approssimativo, all’atteggiamento arrogante e dimesso al contempo, i nuovi ragazzi (spesso tutt’altro che tali per età) del cosiddetto «est-europeo» riescono ad attivare nell’immaginario di alcuni gay quegli aspetti considerati fondamentali nella figura del loro idolo: sono maschi elementari, onnipotenti e infantili, egocentrici e presuntuosi, preoccupati solo del proprio sesso.
Da quando poi esiste una specifica sessualità gay (con tanto di servizi, concorsi di bellezza e presunti stili di vita), si è strutturato un mercato di e per veri omosessuali in cui la prostituzione viene puerilmente nobilitata attraverso giochi di parole, che la definiscono come accompagnamento e ricreazione, con l’avvallo ideologico della pseudo-coscienza e dello pseudo-orgoglio gay delle sue comparse.
Detto per inciso: non è strano che le Organizzazioni Gay (e in particolare l’Associazione che si rivolge ai genitori di omosessuali), così preoccupate dei danni prodotti dal pregiudizio sociale e così smaniose di educare la collettività, non sollevino neppure la questione della tutela dei minori e degli adolescenti negli ambienti gay? Come ignorare che proprio nei circuiti del ghetto gay i più giovani siano di fatto esposti a operazioni di sfruttamento e corruzione, e non solo per i pessimi esempi di abuso di sostanze e di sesso, ma anche semplicemente per l’incitamento al consumo di materiale pornografico e quali potenziali clienti delle varie linee telefoniche erotiche?! I ragazzi omosessuali sopravvissuti all’ignoranza delle famiglie e della società, in effetti, difficilmente riescono a sottrarsi all’apprendistato della carriera gay nei luoghi canonici, ricevendo dai compagni di ventura un trattamento a base di indifferenza e manipolazione (malattie infettive incluse), una vera scuola di vita! D’altronde, una civiltà del self-service come la nostra, non può che favorire la progressiva estinzione delle relazioni umane, con la scusa di promuovere la più completa gratificazione delle esigenze sessuali! Così, per ironia della sorte (ma è vera sorpresa?), là dove si presume o pretende di trovare il meglio e il non plus ultra della sessualità virile, si incontra e si acquista una maschilità apparente, di facciata in senso letterale, unica maschera di personalità spesso inconsistenti quando non patologiche. A passeggio in luoghi equivoci, in piedi o seduto in posizione strategica in un cinema a luci rosse, fintamente disinvolto davanti a un drink in un locale specializzato, in veste di massaggiatore oramai di routine nelle saune più attrezzate, o ancora solerte lavoratore al vostro domicilio dopo un colpo di telefono: c’è solo l’imbarazzo della scelta tra il giovane sbandato e senza famiglia cui non resta che l’orgoglio fallico, il gaglioffo criminale e lo straniero prepotente scambiati per simpatiche canaglie, il malato di mente travestito da ragazzino eccentrico, nonché i sempre più numerosi e arroganti gay dell’ultima generazione la cui sola aspirazione è di fare i mantenuti. Nel complesso, resti umani non sempre identificabili, tenuti insieme dal collante del narcisismo erotizzato. Di fronte a simile dis-umanità - nonostante le proteste degli affezionati/patiti del genere - non meraviglia che vi sia così poco di sacro e di iniziatico nell’allettante mondo parallelo dell’attuale prostituzione maschile. Gli interessi privati, infatti, sono troppi e gli addetti mostrano nella stragrande maggioranza dei casi totale ignoranza della dimensione afroditica della sessualità, quando non addirittura disprezzo per la corporeità. L’aldilà cui è possibile accedere per loro tramite è allora puro inferno della materia, irrimediabile e sfacciata contraffazione del sublime piacere di cui pure è capace la carne santa. In compagnia di giovani siffatti è assicurata solo l’infamia. Mattia Morretta Babilonia n. 187, aprile 2000