Il lascito di Michel
L’analisi compiuta da Michel Foucault sul potere e sulla sessualità impone di aggiornare la lettura dei fenomeni correlati e di riqualificare la tematica omosessuale.
Non è più possibile rifarsi a una concezione giuridico-discorsiva del potere, nella quale esso viene rappresentato in termini di repressione e negazione. Non si deve credere che il Potere agisca enunciando una Regola, che la sua legge sia la Proibizione e la sua logica la Censura (cioè, affermare che non è permesso, impedire che sia detto e negare che esista), che il suo dispositivo si eserciti allo stesso modo a tutti i livelli.
Se il potere è onnipresente, è perché si produce in ogni istante e punto; se è dappertutto, è perché viene da ogni dove e non perché i suoi tentacoli inglobino tutto in riferimento a un centro.
Potere è il nome che si dà a una complessa situazione strategica e ai molteplici rapporti di forza al suo interno, inclusi quelli sessuali. Non c’è opposizione statica tra dominanti e dominati, e soprattutto dove c’è potere c’è resistenza.
Quest’ultima non va immaginata come qualcosa di fisso e totale (credendo in un luogo del “grande rifiuto”), bensì l’altro termine nelle relazioni di potere, soggetto a mobilità e transitorietà, praticabile all’interno di strategie rinnovabili nelle contingenze storiche specifiche.
L’omosessuale si raffigura il divieto come alternativa fra due inesistenze: non apparire, se non vuoi scomparire. Così facendo, cade nella trappola di un circolo vizioso, finendo per modellarvi la propria vita e i propri piaceri, un’idea quindi che diviene un alibi per negare se stesso e vietarsi vie d’uscita alternative.
La questione del timore che si sappia (e il godimento a esso associato) può essere infatti invertita trasformandola in paura che non si sappia
In maniera analoga, la rappresentazione di una sessualità selvaggia e ribelle che il potere si affanna a soggiogare, conduce a credere che ne vada della nostra “liberazione” quando si tratta e si parla di sesso, mentre, molto più semplicemente, ci si inscrive in un dispositivo di sapere che nel corso degli ultimi secoli ha “creato” la sessualità e i discorsi su di essa.
L’Occidente ha reso l’uomo un mostro sessuale e lo ha indotto a rivolgere al sesso l’interrogativo circa la verità o l’identità. Il sesso ragione di tutto, causa di qualsiasi cosa, è il prodotto di un’operazione culturale che costringe i piaceri a nascondersi per poterli scoprire. Sicché sveliamo solo ciò che è stato costituito come segreto.
Pertanto, non possiamo dire di aver liberato la sessualità, bensì d’averla condotta al limite. Limite della nostra conoscenza, poiché essa è divenuta la sola lettura possibile dell’inconscio. Limite della legge, in quanto unico contenuto del proibito. Limite del linguaggio, in quanto massima trasgressione del silenzio.
Per l’omosessuale tutto ciò è doppiamente significativo, essendo la sessualità consustanziale alla sua identificazione, nulla di ciò che è sfugge alla sua "tendenza", in base al personaggio generato nel XIX secolo da un potere che ha moltiplicato le forme sessuali per servirsene quali superfici di intervento.
Né il discorso né il silenzio sono sottomessi al potere o in opposizione a esso una volta per tutte. La costituzione della categoria dell’omosessualità, difatti, ha sì permesso un’avanzata del controllo sociale in tale regione, ma ha pure indotto una risposta di rimando da parte degli omosessuali, sovente ricorrendo al medesimo vocabolario con obiettivi opposti.
Vale, dunque, la regola della polivalenza tattica dei discorsi.
Se i movimenti omosessuali stagnano o si smarriscono lungo la via è per la mancanza di un’etica propria, che vada al di là della definizione in funzione degli "altri".
Costretto a ricercare la propria verità nell’angusto spazio tra predisposizione innata e condizionamento sociale, l’omosessuale finisce per non prestare attenzione ai significati culturali del comportamento sessuale.
Spesso il desiderio di conoscenza è un alibi per preservare il masochismo psichico, laddove si tratta di lavorare su stessi per elaborare nuove possibilità esistenziali e relazionali, sottraendo tempo, energie, immaginazione al mortifero impegno del falso problema del dire-non dire.
Occorre andare oltre una sessualità come fatalità per allestire un laboratorio di ricerca sui modi di essere ancora improbabili, sulle maniere per rendersi più suscettibili di piaceri, sulla strada che porta a superare l’alternativa limitante tra incontro sessuale fine a sé stesso e fusione delle personalità nella coppia.
Ecco allora che l’identità omosessuale viene a configurarsi non come fedeltà a un’immagine sempre uguale, bensì come procedura per avere relazioni, strumento per rapporti affettivi che trasformino l’omosessualità da tipologia di desiderio a qualcosa di desiderabile.
L’amicizia in particolare diventa per i gay una modalità di esistenza, opportunità per rapporti intensi e soddisfacenti, la declinazione di un’identità abbastanza forte da dare protezione e abbastanza flessibile da permettere innovazioni.
La domanda dunque dovrebbe essere: che genere di relazioni la mia omosessualità mi consente di istituire e moltiplicare per realizzarmi, anzitutto nel presente? La consapevolezza personale sarà di aiuto per vigilare sulla tendenza all'autolesionismo e alle ripetizioni mortificanti sulla base di difese psichiche inconsce.
Occuparsi del proprio mondo è l’impegno in quanto persone omosessuali, sfuggendo al dazio del narcisismo reattivo, così poco narcisistico in fondo, che incatena a feticci, sensi di colpa e fantasmi immutabili e in funzione del referente eterosessuale. La cura di sé è la carta che ancora possiamo giocare nella partita con noi stessi e la vita.
Mattia Morretta Testo originale Non dimenticare Foucault, Conferenza Centro Gay di Via Bodoni, Milano, 5 Novembre 1984
Fotografia di Vittorio Pescatori