L’età dell’incoscienza Approccio culturale alla prevenzione dell’Aids nelle Scuole Medie Superiori, Azienda USSL 36, Milano, Anni 1994-1995
Metodologia e contenuti dell’intervento
Il lavoro, al di là dello specifico tema dell'Aids e delle sue implicazioni nella sfera affettiva e sessuale, ha mirato a strutturare uno spazio capace di garantire (senza imporre) l'espressione di vissuti e inquietudini, provocando i ragazzi rispetto alle attese di lezioni seriose o conferenze asettiche e passivizzanti. Si è tentato perciò di modificare la lettura interna del problema e di mobilitare le coscienze degli studenti, stimolando il desiderio di una concezione critica della realtà personale e sociale e valorizzando il tempo dedicato alla riflessione (autoconsapevolezza).
Mediante un uso dinamico del discorso, gli operatori hanno cercato di promuovere le relazioni tra gli studenti, proponendosi come catalizzatori e mediatori del dialogo. L'intervento risulta infatti più efficace quando si riesce ad attivare la dinamica interna della classe, sollecitando il confronto reciproco anche come "gruppo".
L'aumento della conoscenza e dello scambio tra i ragazzi, grazie all'espressione di opinioni e difficoltà oppure all'esposizione di esperienze di vita, favorisce pure il lavoro scolastico in quanto smuove alcune problematiche psicologiche che condizionano, in modo inapparente, il rendimento e il progresso dell'apprendimento. Incoraggiando il dibattito, viene destato l'interesse per l'altro come soggetto e compagno con una vita parallela, in cui è possibile riflettere e comparare la propria storia.
L'incremento della comunicazione facilita anche la circolazione delle "risorse", cioè la diffusione di informazioni, abilità, soluzioni, eccetera. In questa operazione emergono chiaramente la "personalità" della classe e la "fisionomia" della scuola, quindi la grande influenza che i docenti e gli organi collegiali possiedono nel merito del clima generale e particolare in cui avviene il percorso formativo.
Si evidenziano perciò le differenze sostanziali tra docenti che si limitano al ruolo di insegnanti o si barricano dietro i compiti esecutivi, da un lato, e docenti che si propongono quali educatori (benché alcuni scivolino facilmente nella riproduzione di relazioni parentali o al contrario tendano a stabilire connivenze su base narcisistica), dall'altro lato. Risulta evidente che il medico o altro operatore coinvolto raggiunge il bersaglio offrendosi in quanto "adulto competente" (e non solo "competente") disponibile a dialogare sui temi della sessualità e dell'affettività alla luce delle minacce attuali all'integrità psicofisica.
L'enfasi posta da più parti sul "gruppo dei pari" quale contesto privilegiato per l'adolescente, rischia in effetti di far trascurare e persino negare l'esigenza molto sentita dai giovani di un confronto con interlocutori dell'altra generazione, capaci di accettare e sostenere un rapporto effettivamente dialettico (e maieutico). Tale esperienza di accompagnamento valorizza il vissuto dei ragazzi e la difficoltà intrinseca del cammino di crescita.
Proprio la mancanza di adulti disposti a fungere da "guida" consapevole ed "esempio positivo" (più che modello) costituisce uno dei fattori che concorrono al disordine generazionale e sociale. L’incontro, pur parziale ed estemporaneo, con adulti interessati realmente alla "salute", come patrimonio esistenziale e non come bene di consumo o conferma del potere tecnologico, può aiutare i giovani a distinguere il vicolo cieco dell'individualismo e della de-responsabilizzazione dalla strada accidentata ma creativa della soggettività e della responsabilizzazione.
L'operatore comunica allora l'importanza della riflessione e la necessità della consapevolezza, in quanto occasioni di "libertà" dell'individuo rispetto all'appiattimento sulla "concretezza" e alla prigionia della "immediatezza". Anche la corporeità, comunque, ne risulta valorizzata come "incarnazione", sottraendola alle lusinghe del mercato e ai luoghi comuni delle ideologie materialistiche attraverso l'incoraggiamento della tutela della dignità umana sul piano della vita fisica del corpo.
Linee guida del dibattito
Negli incontri di carattere culturale e psicologico si è puntato a modificare il riflesso condizionato che porta ad identificare l'Aids con il degrado sociale e sessuale o a collocarlo nel "mucchio" delle disgrazie contro cui valgono solo i rimedi esorcistici.
L'Aids è stato proposto come un problema reale che riguarda la vita delle ultime generazioni e permarrà quale causa di malattia e di minaccia nella vita di relazione ancora per lungo tempo. Non si tratta quindi di un argomento scolastico tra gli altri e neppure di un fenomeno della cultura di massa importante soltanto in rapporto all'attenzione dedicatagli dalla stampa in modo discontinuo (personaggi famosi implicati, notizie allarmistiche o sensazionali, ecc.). Inoltre, l'Aids non è la sfida più recente e subdola per l'orgogliosa scienza moderna o la parola d'ordine per accedere alla dissertazione (vera o presunta) sulla medicina di moda.
Da tali premesse discende che gli operatori non intendono applicarsi ad una valutazione "didattica" del livello di informazioni possedute o del grado di apprendimento di cui di cui sono capaci i giovani interlocutori. I ragazzi vengono presi in considerazione in quanto "persone" e non in quanto studenti, dunque come adolescenti che si preparano ad entrare nella vita adulta e si confrontano con il rischio dell'Aids proprio mentre cercano di esprimere ed integrare l'area della sessualità.
Pertanto essi sono stati incoraggiati a esplicitare idee o opinioni anche approssimative e parziali, senza preoccuparsi di dover fare "bella figura" o di dimostrare l'acquisizione di nozioni per "far contenti" gli adulti/docenti ed esperti). Si è chiesto loro di riferire il frutto di eventuali ragionamenti, basati o meno su esperienze dirette o indirette, oppure di approfittare dell'occasione presente per riorganizzare vissuti, emozioni e pensieri in relazione alla problematica.
In particolare, si è domandato di tentare di definire quanto reale venga considerato l'Aids ovvero quanta realtà venga attribuita all'Aids, attraverso la verifica del grado di vicinanza/lontananza esperito. Si è così invitato a valutare quanto e in che modo l'Aids condizioni nell'attualità la vita sociale e relazionale (pensieri, condotta, affettività e sessualità), quali siano le rappresentazioni a livello psicologico e quali significati vengano attribuiti o associati alla malattia e al contagio.
La trama dei modelli cognitivi e delle reazioni emozionali razionalizzate, rispetto ad un fenomeno tanto complesso e inquietante, si è delineata in maniera più chiara grazie all'attenzione posta sulla "percezione" e sulla "interpretazione" dell’Aids.
La discussione è stata sostenuta, governata e rilanciata dagli interventi degli operatori in funzione del tentativo di effettuare una ricognizione panoramica delle principali tematiche implicate (area sessuale, area affettiva, area familiare, area sociale e culturale). Si è cercato di evitare di suggerire, anche involontariamente, una lettura sanitaria della vita sessuale e di relazione (medicalizzazione).
Ai ragazzi la paura è stata presentata con la connotazione di uno strumento utile, dotato di funzione di adattamento all'ambiente, in quanto emozione capace di promuovere una migliore organizzazione del comportamento mediante la segnalazione o l'avvertimento di un pericolo.
Sono stati descritti come "naturali" l'ansietà e il disagio associati all'Aids, per via delle implicazioni con le tematiche della malattia, della mortalità, della sofferenza, nonché con la questione della responsabilità e delle conseguenze dei propri atti e con il problema della coscienza dei limiti.
É stato sottolineato il dato di fatto della "battaglia" che ogni generazione si trova a sostenere per vivere nel proprio tempo, essendo ogni epoca caratterizzata da specifiche sfide e minacce alla sopravvivenza, individuale e collettiva.
Esiste, quindi, in ogni caso una continuità dell'esperienza umana di prova, che si rinnova in modi diversi nel tempo in ragione delle circostanze storiche e dei mutamenti dell'ambiente naturale. Non è detto che le generazioni precedenti a quella attuale abbiano avuto minori difficoltà da affrontare (guerre e "rivoluzioni" più o meno cruente, anche a livello del costume o dei diritti civili).
Forse, gli adolescenti di oggi appaiono più svantaggiati a causa dello scarso equipaggiamento psicologico contro il dolore e la fatica e della disabitudine alla lotta per la sopravvivenza, essendo portati a considerare la realtà materiale (mondo fisico e natura) come un gioco in cui tutto è "sotto controllo" e a pensare a se stessi come protagonisti (benché passivi) di "legittime" richieste di gratificazione, impensabili a livello di massa fino a qualche decennio fa.
In sostanza, i ragazzi sono stati stimolati a riconoscere l'utilità della riflessione quale strada maestra per diventare capaci di operare scelte nel processo di crescita e maturazione. Finalità principale del lavoro educativo, infatti, è aiutare a vivere nella realtà in modo creativo, riducendo i fenomeni di disadattamento (vissuti di impotenza - depressione e difese maniacali).
I giovani vanno aiutati, in questa ottica, a tarsi soggetto della loro esistenza, a prendersi sul serio assumendo le proprie responsabilità. L'educazione alla vita è educazione a con-vivere con l'incertezza e a tollerare l'angoscia. La cura di sé in quanto "persone" è qualcosa di più della cura di sé in quanto "organismi" (pur complessi e affascinanti), ed è ben diversa dalla salvaguardia dell'individualismo e di privilegi egoistici. La responsabilizzazione e il farsi carico di quanto spetta a ciascuno vanno di pari passo con lo sviluppo dell'attenzione agli altri.
Mattia Morretta (1995)