Astinenza e castitàLa libera scelta nella vita sessuale
Più castigati che casti
Di norma si pensa alla castità come a qualcosa di “innaturale”, che non si possa propriamente scegliere ma semmai accettare nell’ambito di una subordinazione forzata a regole religiose, qual è il caso del voto del clero cattolico, la cui solennità e ufficialità ne testimoniano il carattere eccezionale.
La rinuncia è tanto più meritoria quanto più è difficile attuarla e quanto più è importante l’oggetto della rinuncia. Sesso e piacere costituiscono da sempre una meta ambita dagli uomini, perciò chi li rifiuta viene moralmente valorizzato. L’alto prezzo pagato permette al religioso di guadagnare una posizione privilegiata, differenziarsi dalla massa corrotta e divenire modello per gli altri.
Ciò non toglie che da parte di molti si continui a dubitare della realizzabilità di una rigorosa astensione dal sesso, pur nel contesto di una decisione volontaria. Tanti non credono affatto che alle dichiarazioni pubbliche di virtù corrispondano effettive verginità nel privato.
Sembra esserci pertanto un tacito accordo tra autorità ecclesiastiche e fedeli per mantenere il silenzio su quel che non deve apparire (si pensi ai casi di omosessualità all’interno della Chiesa, alle fughe d’amore di alcuni sacerdoti, ecc.).
Alla codificazione dettagliata del lecito e dell’illecito da parte della gerarchia cattolica non hanno mai fatto seguito, d’altronde, né un’interpretazione né una prassi punitiva letterali. Neppure i sacerdoti hanno mai riposto grande fiducia nelle capacità di astinenza dei comuni mortali e la confessione è abbondantemente stata utilizzata a mo’ di espediente per permettere di purificare il peccatore sino al successivo cedimento. La carne, è noto, è debole.
Non che la vita sessuale sia riuscita a conservarsi indenne dalle tabuizzazioni attribuite al volere di Dio (e poi imposte dalla “scienza”). Sappiamo bene quanti drammi abbiano travagliato e tuttora travaglino la condotta sessuale a causa di pretestuose e astratte leggi morali. Tuttavia, la concezione cattolica della sessualità come “male” non ha certo desessualizzato l’essere umano, poiché, anzi, ne ha fatto essenzialmente un “uomo di desiderio”.
Non riuscendo a dare al piacere una collocazione definita e non ambigua nell’esistenza, si è sovente estremizzato la questione del desiderio sessuale, riconoscendolo ovunque e invitando a scoprirlo nelle pieghe della mente e dell’anima, dietro i più innocenti pensieri e le migliori intenzioni.
Nell’esperienza cristiana della “carne” la sessualità è una forza capace di un’incredibile trasformismo, fantasma dai mille volti e dalle innumerevoli insidie. In questo senso, nella lotta per la castità non è in gioco il problema dell’atto sessuale tra due individui, bensì la modalità di rapporto del soggetto con sé stesso.
Resistere alle tentazioni sarà un modo per sospettare di sé, scavarsi dentro, scovare in sé la potenza del desiderio. L’ideale è la purificazione, però lungo il percorso la concupiscenza attende a ogni angolo, e il "santo" diventa tale grazie a una sofferta resistenza contro la tendenza a peccare.
D’altra parte, in tutta la tradizione mistica il fervore religioso ricorre sovente al linguaggio erotico e talvolta ingloba l’erotismo nell’esperienza spirituale. La componente sessuale del misticismo è in certi casi manifesta e inequivocabile. Non manca nelle correnti cristiane più “progressiste” chi ha rivalutato proprio quella connotazione sensuale dell’incontro con Dio, a dispetto dell’asettico e algico modulo del cattolicesimo più integrale.
La teologa Adriana Zarri sosteneva che “la castità non è un congelamento delle energie sessuali, ma una loro esaltazione”. La sessualità recupererebbe pertanto quel primitivo senso religioso riconosciutole dai mistici ebraici e cristiani e Dio tornerebbe a essere amato anche col corpo, appassionatamente. Tutt’altra cosa, comunque, delle “spose di Gesù” dei monasteri femminili, le cui vergini a volte han dato l’impressione ai maligni di consolarsi con il “partner celeste” per i rifiutati partner terreni.
A livello di alta contemplazione, infatti, lo sposalizio con Dio si qualifica come armonizzazione dello spirito con le emozioni e il corpo, in un trasporto d’amore che non nega la sessualità. Questo modo di pensare, che critica l’ipocrisia dello scandalo cattolico, vorrebbe opporsi al contempo alla teoria che riduce la continenza religiosa a pura nevrosi.
Ricomporre l’opposizione tra castità e sessualità facendo della prima una maniera particolare di vivere la seconda non si discosta granché dalla tesi di derivazione psicoanalitica secondo cui ogni esperienza mistica non sarebbe che una trasposizione della sessualità: l’estasi mistica quale esaltazione dei sensi chiamata con altro nome e diventata morbosa.
Del resto, per optare per la castità possono esservi motivi assai poco spirituali e, portando il blocco sessuale alle sue estreme conseguenze, si creano le condizioni per un’accentuazione dell’erotismo.
Lo psicoanalista Georg Groddeck, fra gli altri, ha detto che “la vita claustrale, la tonaca, sono una conseguenza inconscia della fuga da un incesto con la madre”. Tuttavia, se è vero che l’effusione mistica sembra imparentata alla voluttà fisica e se i grandi mistici hanno esplicitamente parlato degli elementi sensibili della loro esperienza, ciò non significa che sensualità e misticismo siano la stessa cosa, né che l’una sia il contraltare dell’altro.
Per Georges Bataille i due sistemi dell’erotismo e del misticismo obbediscono agli stessi principi, fondandosi sull’incontro con la morte e sul distacco rispetto alla conservazione della vita. In uno è in gioco la sfera del corpo e nell’altro la sfera del pensiero, con più canali di comunicazione tra le due strade principali. Così “può accadere che un movimento mistico del pensiero scateni lo stesso riflesso che un’immaginazione erotica tende a scatenare”; come pure che un eccitamento sessuale dia il via a una visione mistica (per esempio tra gli Indù).
Un’etica sessuale personale
Siamo portati a credere che la valorizzazione della castità sia un tratto distintivo del cristianesimo, a differenza della rilassatezza del paganesimo. In realtà, anche nel pensiero antico e pagano sono presenti temi di austerità sessuale simili a quelli poi dominanti nella dottrina cristiana.
Nell’impianto filosofico dell’antichità moderazione e rigore in ambito sessuale hanno un significato e una collocazione particolari. Non si ritrovano principi validi universalmente, non si tratta di un adeguamento a divieti sociali, civili o religiosi, bensì di un tentativo di stilizzare il proprio comportamento e di costituirsi quali soggetti morali, per libera scelta e volontà.
Nella Cristianità l’attività sessuale soggiace a una svalutazione di fondo in quanto segno della caduta originaria dell’uomo. Nell’Antichità l’atto sessuale è naturale e in qualche modo necessario, ma suscita una notevole inquietudine ed è oggetto di una certa diffidenza, sia per le conseguenze di un possibile abuso sia per alcuni dati intrinseci connaturati alla sessualità.
Si evidenziano pertanto il timore per la violenza connessa alla spinta sessuale, la preoccupazione per il suo costo in termini di dissipazione di energie vitali, l’associazione con la morte proprio per il fatto che assicura una discendenza. Tematiche queste presenti anche nelle cultura orientali, che vi hanno fondato l’elaborazione di un’arte erotica.
Ecco perché nel pensiero greco e romano si è sviluppata un’etica basata sull’uso dei piaceri e mirante alla strutturazione della soggettività morale, come ha mostrato Michel Foucault nei suoi studi in merito. La meta è quella della sovranità su di sé, un dominio perfetto sulle passioni e i piaceri.
La virtù non consiste tanto in uno stato d’integrità quanto in un rapporto gerarchico all’interno di sé stessi, affinché intelligenza e ragione governino i bisogni. Da qui l’esigenza di sottoporre l’attività sessuale a criteri di misura e di momento adatto, di quantità e di opportunità, per collocarsi nel giusto mezzo fra l’insensibilità e l’eccesso. La negatività etica, infatti, sta nella smodatezza e nella passività di fronte ai piaceri.
Non è difficile riconoscere che l’ideale pagano di temperanza tenda infine all’astensione e alla rinuncia al rapporto fisico, gettando le basi per quell’ideologia che vede nella ricusazione del sesso la via d’accesso a un’esperienza superiore di verità e di amore. Socrate è amato dai giovani proprio per la saggezza mostrata non cedendo alla loro seduzione e si qualifica quale maestro in virtù della capacità di non approfittare della bellezza provocante di Alcibiade.
È interessante notare che la riflessione moderna riprende in considerazione i motivi dell’austerità sessuale e della temperanza. L’Aids è parso favorire il ritorno a un’economia restrittiva, se non a una brusca repressione; la strumentalizzazione dell’incubo infettivo da parte di moralisti reazionari non può però occultare l'importanza di un processo di ri-concettualizzazione della sessualità. Infatti, che lo si reprima o lo si esalti, sesso per noi rimane una fatalità e il piacere sessuale viene considerato in maniera scontata il più grande dei piaceri.
Bere, mangiare e fare sesso sembrano essere i limiti invalicabili per la comprensione del nostro corpo e dei nostri desideri. Proprio per sottrarsi a tale “dolce” tirannia, questa croce e delizia dell’uomo occidentale, Foucault ha parlato di necessità di de-sessualizzare il piacere e ha contrapposto all’ascetismo come rinuncia ai piaceri l’ ascesi come lavoro su se stessi per rendersi più suscettibili di piaceri diversificati. Per valorizzare la fisicità e la spiritualità nelle loro molteplici espressioni e forme occorre liberarsi dalla istanza del sesso.
La sessualità che è stata difesa negli scorsi decenni dagli inconvenienti della repressione forzata, arrivando a diagnosticare in ogni opera o idea uno sviamento e una compensazione nevrotica della pulsione sessuale, è la stessa che un tempo era stata vietata nel nome dell’amore sublime o della morale sociale. Sicché, non si fa che passare di continuo da un polo all’altro di un sistema immutabile concettualmente.
Allora forse è questione di rifiutare ogni interpretazione di ciò che non si fa dal punto di vista sessuale formulata in funzione di quel che si potrebbe o si sarebbe potuto fare. Evitare di individuare un luogo privilegiato o un momento obbligato per il piacere, di ragionare in termini di performance e sublimazione inconscia. Ciascuno dovrebbe poter integrare la sessualità nella propria personalità e vita in modo originale e squisitamente “privato”, come un elemento tra gli altri.
In quest’ottica anche la castità apparirebbe in una luce diversa, un modo di essere più che di avere, che non rimanda per forza alla patologia e non prelude per convenzione alla santità. Le avventure galanti potrebbero ben finire con il baciamano raccontato da Jean-Jacques Rousseau ne Le confessioni: “Ho avuto forse più piaceri io coronandoli su quella mano baciata, di quanti non ne avreste voi, cominciando per lo meno di lì”.
Tra i laici, in effetti, si guarda sempre con sospetto a chi mostra eccessiva riservatezza nelle faccende di sesso, non lasciando trasparire un’attiva pratica sessuale. La castità qui sta per castrazione, inibizione e persino patologia. L’inettitudine in campo erotico è squalificante e l’idea di trovarsi di fronte a una persona che non ha rapporti sessuali inquieta, quasi si avesse a che fare con un alieno di cui sfugga la natura, perché, nonostante tutto e nonostante la morale, si preferiscono i mostri agli angeli.
È il caso invece di lasciare ognuno libero di trovare una modalità personale di vivere la sessualità (che sia sotto forma di pratica o di astinenza), senza dare agli atti e alle scelte un significato assoluto.
Usare l’intelligenza nella sessualità può portare a esprimerla concretamente o meno, a seconda delle considerazioni e valutazioni più varie, senza esser preda di ansie o sensi di colpa perché si “consuma” o non lo si fa. In un’epoca in cui nulla sembra avere importanza e la memoria si perde facilmente, può essere utile riflettere sull’insegnamento di Socrate: “Solo la temperanza che ci fa sopportare i bisogni, ci fa anche provare un piacere degno di essere ricordato”.
Mattia Morretta Testo originale nel Fascicolo n. 76, 1987, Enciclopedia Amare, Fabbri Editori