La bussola Auto-aiuto e AIDS: una fatalità ESSE più, n. 8 giugno 1991
Quando si fa parte della “specie” dei sieropositivi o si appartiene a una minoranza connotata in negativo (traduzione dell’eufemismo “gruppo a rischio”) si ha anzitutto il problema di ridefinire la propria identità , sottraendosi all’invadenza della normativa e rifiutando gli stereotipi e le stigmatizzazioni, soprattutto la prescrizione del vittimismo.
Trovare una modalità alternativa di definirsi diviene una questione di sopravvivenza, morale se non fisica. Subire l’infezione e le interpretazioni in chiave moralistica, sociologica, scientifica equivale a vedersi al contempo spiegati e archiviati in un batter d’occhio. Numeri nella vita, buoni per i calcoli di probabilità dell’arrogante epidemiologia o per i protocolli di ricerca e studi sperimentali; numeri dopo la morte, adatti per le strumentali e altisonanti statistiche ufficiali. Auto-aiutarsi significa sostanzialmente non rinunciare a vivere in prima persona e in modo autentico, non abdicare a se stessi. La compromissione della salute e la morte minacciata colpiscono l’individuo nella sua aspirazione alla libertà in quanto lo schiacciano contro il muro della necessità materiale. La consapevolezza di sé e l’esigenza di una dimensione spirituale ne risultano sollecitate, insieme ad angosce, paure e tentativi di fuga. Si pone il problema dell’accettazione e della scelta, ovvero del rifiuto e della negazione, del proprio stato e delle sue implicazioni. L’auto-aiuto è una delle risposte, una strategia di convivenza responsabile . Ciò vuol dire abilitarsi a capire, prender coscienza e assumere un ruolo attivo, non disperdendo il bagaglio di capacità e risorse preesistenti e ammettendo la possibilità di acquisirne di nuove. Vuol dire altresì riconoscere la specificità della condizione, non solo in termini di infezione trasmissibile e di patologie invalidanti, ma anche in termini di diversità sociale e culturale connessa alle aspettative e ai fantasmi della collettività (la persona con Hiv come alieno, luogo dell’Altro). Ne discende la presa d’atto del bisogno di ricevere aiuto e la possibilità di darne; l’esigenza di andare incontro ai compagni di viaggio dispersi sulla terra. Procurarsi sostegno e strumenti da scambiare con gli altri rappresenta perciò un indispensabile opzione per la vita e la cura di sé. In tal senso l’auto-aiuto è una fatalità nell’Aids, cioè qualcosa di inevitabile. Tutte le persone con Hiv indipendentemente dalla loro volontà e dal contesto di vita, condividono un insieme piuttosto preciso di problematiche e vissuti. Se tutti sperimentano senza possibilità di delega i disagi e i limiti, le risorse restano spesso individuali, confinate nel ristretto spazio privato del singolo, oppure risparmiate secondo una visione economica improntata all’avarizia che è alla lunga controproducente. Mattia Morretta
Laddove non risulti preponderante l’aspetto della devianza e della marginalità sociale (tossicodipendenza attiva, varie forme di disagio familiare e socio-economico, ecc.), riesce ad emergere la natura squisitamente esistenziale della condizione di persona con Hiv. Vengono a galla, cioè, i contenuti profondamente umani, elementari e universali, del confronto con l’incertezza, la malattia e la mortalità, il senso della vita, il posto e il significato della sofferenza.
La civiltà può solo guadagnare dal consentire alle persone con Hiv di riappropriarsi dell’anima e di conquistare la piena dignità dell’essere umano.