Fai da te nella salute sessuale: come farsi del male credendo di aver cura di se stessi
Dato che il criterio del self-service nelle faccende di sesso è la regola per gli omosessuali, non pare poi tanto strano che i più pragmatici ricorrano all'autoprescrizione di cure di fronte a sintomatologie correlabili alle Infezioni a Trasmissione Sessuale.
A prima vista può sembrare frutto di una adesione acritica al mondo iper-sessuale globalizzato, il cui cittadino esemplare è un mutante informatissimo e attento alle novità di tecnologia sanitaria ed erotica, seguace per partito preso della farmacocrazia, nella quale la chimica sostituisce la fisica e l'organismo viene asservito a una mente ridotta a computer cerebrale.
In verità, è una pericolosa espressione della autosufficienza onnipotente dei tanti bulldozer della sessualità, che fa loro credere di essere padroni assoluti di sé e del corpo.
Dominatori della e nella sfera sessuale, tanto più implacabili e impermeabili quanto più alieni da riflessioni e consapevolezza, programmati una volta per tutte sul modello difensivo della sopravvivenza in un ambiente ostile.
La “prevenzione” in tal caso è per forza di cose postuma, perché prima degli atti sessuali c'è solo l'esigenza irrazionale e forse l'ipotesi del preservativo quale salvagente o salvacondotto.
Il grado minimo di esorcismo del milite ignoto prevede di far seguire gli sciacqui con colluttorio agli assaggi “orali” d'ogni tipo e sede, i disinfettanti più vari di genitali o ano post-coiti occasionali, alla stregua della pulizia dei denti dopo aver mangiato dolci o dello spazzolamento delle unghie dopo lavori di giardinaggio.
Al livello superiore c'è il ricorso all'armamentario e all'armadietto dei farmaci per tamponare, bloccare, far sparire perdite, ulcere, macchie, bollicine, qualunque cosa compaia sui poveri membri o sulle sfruttate membra.
Sifilide, uretriti, lesioni di diversa eziologia (magari non di origine sessuale) vengono considerate analoghe alle moleste e banali “piattole”, quindi inconvenienti del mestiere trattabili al domicilio e con prodotti da banco.
Amici e conoscenti con professioni sanitarie, talora a loro volta gay, sembrano non solo assistere passivamente, ma addirittura contribuire con preziosi “consigli” al fai da te di ansiosi e depressi che rifiutano di fermarsi a ragionare e farsi aiutare.
Con leggerezza si finisce per procurarsi danni severi che a lungo andare si sconteranno in termini di indebolimento del sistema immunitario, resistenza agli antibiotici, decapitazione di nuovi sintomi e persistenza di processi patologici.
Il fatto è che, improvvisandosi guaritori, si spera di scavalcare d'un balzo la temuta (e in fondo onnipresente e preesistente) malattia e di poter evitare di "sentirsi malati".
Capita così di udire un tizio riferire senza imbarazzo di aver convinto il farmacista a vendergli, pur storcendo il naso, un antibiotico per un sospetto di gonorrea, risparmiandosi visite mediche e disinteressandosi dell'accuratezza della diagnosi.
Il talaltro racconta di aver preso un certo principio attivo con cognizione di causa, avendo interpellato un compagno di merende che ha avuto quel “problema” e perciò è ipso facto “un esperto” del settore.
Non mancano coloro che per strafare ingoiano pillole per “profilassi” contro la sifilide, incrementando da veri incoscienti il fenomeno dilagante delle patologie latenti, non identificate, evolventi, cronicizzate e trasmissibili a dispetto delle convinzioni dei velleitari apprendisti stregoni.
Accadeva già negli anni Ottanta, in coincidenza con i primi casi di Aids. Alcuni vantavano d'aver letto che in “America” si suggeriva di assumere ogni tanto degli antibiotici, per scongiurare la comparsa delle malattie veneree.
Oggi come allora, in effetti, l'obiettivo dell'autogestione pseudo-sanitaria non è prevenire le infezioni sessualmente trasmesse, bensì controllare le loro manifestazioni esteriori.
La mania “igienistica” nasconde spesso il rifiuto di sé e copre la cloaca della trascuratezza sessuale dei tanti vigilantes del sesso sicuro a posteriori. Non importa se dentro tutto va in malora e ci si rovina con le proprie mani, quel che conta è che fuori non appaia nulla, che l'immagine ideale rimanga inalterata, grazie all'annullamento delle possibili conseguenze visibili del comportamento sessuale.
In definitiva il fine è forzare o adulterare la realtà, azzerare di continuo il calcolatore, avanti un altro e indietro al punto di partenza, non dovendo restar traccia, ruga, imperfezione e bruttura.
Non è un eccesso di estetismo, anzi, è la bruttezza interiore e dello stile di vita sessuale a imporre una cecità assoluta, il buio totale, una negazione dispotica, a costo di distruggersi. Tutto pur di rimuovere quanto può dispiacere e ferire, e soprattutto ciò che rischia di mettere in discussione.
Un simile rigido autoritarismo svela quanto si abbia a che fare non con libertini, liberati o liberti, bensì con tiranni di sé medesimi succubi di complessi, turbe, morbosità di cui si rifiuta la presa d'atto.
L'omosessualità, abbracciata come sacrificio autolesionistico o vissuta a testa bassa e con malanimo (verso se stessi prima ancora che gli altri), è per certi individui “accettabile” soltanto a condizione di non evolvere, non potendo acquisire spessore umano e dovendo se mai limitarsi alla recita del benessere e della spensieratezza.
Quando si è saturi di colpevolezza e ci si sente sbagliati (come prova il sesso fatto e disfatto), non ci si può permettere di “sbagliare” e di portare i segni degli errori o degli incidenti, rischiando di dar ragione al pregiudizio sociale e ai mille nemici e falsi amici da cui si è circondati. A meno che non ci si rassegni al ruolo del garibaldino gay ferito a una gamba…
I “medici-dittatori” di se stessi si trovano sia tra i più occulti e velati praticanti dell'omosessualità, quelli che non ammettono di sentirsi omo neppure sotto tortura, sia tra i più sfacciati e dichiarati, quelli che sanno dire solo “sono gay” mentre fanno i minatori nei locali per diversi.
Perché far sapere al medico curante o allo specialista e a “estranei” in generale di aver contratto una “brutta malattia”?! Ciò sottolineerebbe, infatti, l'elemento sessuale della propria identità e in particolare imporrebbe, almeno in teoria, un riconoscimento dell'omosessualità in quanto condotta strutturata.
Il “fai da te curativo” mette d'accordo chiunque non voglia fare i conti con nessuno, a cominciare dalla propria coscienza e intelligenza, e non voglia saper nulla dei vissuti legati alla sessualità.
In fuga dall'approfondimento dell'orientamento sessuale e dalla conoscenza dei bisogni personali, si salta in fretta e furia sul treno ad alta velocità della dannazione omo-sessuale.
Non c'è un minuto da perdere in soste, del resto non vi sono stazioni intermedie, il percorso è a senso unico, mancano persino i finestrini e il paesaggio, il binario è morto. Da una fessura si può, però, sporgere un braccio per prendere al volo l'agognata pozione magica antivenerea.
Ah, beata ignoranza, che non neghi un antibiotico a nessuno! Altro che farmaci al supermercato.
Mattia Morretta (dicembre 2006)