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Famiglie allargate e poco spaziose

La scelta di risposarsi o creare nuove convivenze crea problemi specifici a coloro che conducono con sé i figli nati dalla precedente unione. Per ogni età esistono esigenze e modalità particolari di relazione che condizionano il livello di difficoltà nel passaggio alla nuova famiglia.

Le possibilità di elaborare coscientemente le esperienze conflittuali o dolorose sono minori nel bambino rispetto all’adolescente. Questo vuol dire che il primo è dal punto di vista emotivo più fragile e più suscettibile di cicatrici inconsce; anche se è sempre sorprendente la sua capacità di adattamento, soprattutto quando gli si permette di capire la situazione in cui è coinvolto. Dalla sua ha un grande potenziale evolutivo e una discreta duttilità caratteriale, che possono facilitare il trapasso dal genitore biologico al genitore psicologico.

Il ragazzo preadolescente o adolescente possiede le facoltà razionali come strumento di comprensione della realtà, però il periodo puberale, con le sue rivelazioni e le sue sommosse bio-psicologiche, è un terreno che può risultare franoso.

Un passato alle spalle, un carattere, una personalità e un ruolo più definiti lo rendono meno disponibile a grandi rivoluzionamenti. In molti casi il ragazzo e la ragazza adolescenti avevano ormai creduto d’essersi conquistati il ruolo di sostituto del coniuge o di aver battuto il “rivale”, per sempre.

Finalmente, dopo la separazione, la madre (o il padre) sarebbe stata “tutta loro”, col diritto a esercitare su di essa un monopolio esclusivo pur esigendo magari per se stessi una libertà assoluta di movimento.

Si erano forse dedicati a dimostrare che si può stare anche senza il padre (o la madre), forse anche meglio di prima; un impegno che tradisce un certo sentimento di colpa nel tentativo di compensare il senso di perdita e di delusione avvertiti nel genitore rimasto solo.

Vivono pertanto la nuova relazione e il nuovo matrimonio come un rifiuto e una valorizzazione nei loro confronti. Sono posti di fronte all’evidenza della loro insufficienza come partner affettivo, ma inconsciamente anche sessuale, per il genitore. Se poi esisteva già qualche dubbio in proposito, il figlio troverà conferma alla propria sensazione d’esser stato sempre di troppo e al contempo inutile.

D’altra parte, per problemi connessi alla loro particolare fase evolutiva (urgenza di definire l’identità e di risolvere la questione sessuale), gli adolescenti sono spesso moralisti intransigenti e giudici severi. Si rifiutano di accettare che la madre non faccia la madre e basta.

Trovano intollerabile che ella possa avere desideri sessuali, che non si senta appagata affettivamente nella famiglia residua e che abbia velleità di rifarsi una vita a modo suo. La accusano di pensare solo a se stessa, proiettando su di lei il proprio egocentrismo, e di non aver pudore, per difendersi dal senso di colpa per il proprio desiderio sessuale in genere e per quello edipico in particolare. In fondo, capita loro di pensare, è una poco di buono, se si tratta del padre non è che un dongiovanni irresponsabile.

Se è più facile e consueto che, nonostante l’evidenza, i figli non si “accorgano” della vita sessuale dei genitori, preferendo ignorarla, nel caso di un secondo matrimonio la questione non è facilmente eludibile. È inevitabile che si pongano il problema di cosa mai possa spingere la madre (ma vale anche per il padre) a desiderare vicino un compagno: perché non riesce a stare sola? Cosa nasconde dietro il bisogno di un marito?

Un motivo sessuale “macchia” l’immagine del genitore ed è emotivamente insopportabile per diverse ragioni. Anzitutto si deve rivedere l’idealizzazione che ha purificato dal sesso la madre e il padre, per difesa contro spinte incestuose. Inoltre, riconoscere desideri e debolezze nel genitore rappresenta uno smacco per la sua valorizzazione come modello di riferimento.

Infine, è uno scacco del proprio valore come potenziale partner: la madre rifiuta il figlio perché inadeguato dal punto di vista amoroso, preferendogli sempre un adulto, altrettanto il padre. Da qui il sentimento di insufficienza nella virilità (o femminilità).

D’altronde, spesso i figli, per difendersi dalla delusione di fronte allo sfacelo della “coppia felice”, hanno bisogno che almeno il genitore sopporti la solitudine, visto che l’ha scelta o visto che ha già sbagliato in precedenza. Sono restii a concedergli un’altra chance, vorrebbero confinarlo nel ruolo di madre o padre ormai sola/o.

Questo perché possono manifestare così i sentimenti ostili neii suoi confronti e al contempo potrebbe perdurare il fantasma del coniuge assente. Di fatto essi vorrebbero perpetuare l’idea della dedizione e della fedeltà, l’ideale degli eterni amanti, nonostante il fallimento nella realtà della coppia da cui sono nati.

Il genitore rimasto è perciò accusato di aver fatto naufragare il sogno dell’amore felice e deve dunque "pagare". Possono allora farsi continuatori della figura del genitore perduto, anche perché il senso di colpa per i desideri “omicidi” nei suoi confronti li spinge a identificarsi con lui e a esigere la fedeltà al fantasma da loro incarnato.

Quando i genitori si separano, i figli sono messi di fronte al peso dei propri desideri di inserimento nella coppia con intento distruttivo. Ecco perché hanno anche tanta voglia di vedere i genitori uniti e felici, nonostante magari non perdano occasione per mostrare le debolezze e le falle di quell’unione.

Se si erano sentiti colpevoli della separazione e dei conflitti dei genitori, avendo inconsciamente desiderato separarli, i figli possono comportarsi anche in maniera molto indulgente verso il nuovo legame della madre o del padre.

Spesso, però, c’è il rifiuto di riconoscere l’autorità del secondo marito o della seconda madre, perché se era concepibile accettare, pur fra controversie, il ruolo direttivo del genitore biologico, è quasi inconcepibile sottomettersi a un “estraneo”.

Soprattutto per la nuova madre le cose sono complesse, dal momento che un’intera cultura sostiene il dogma della madre unica e irripetibile. Le verrà dunque rinfacciato il tentativo di sostituire la madre “vera” e sarà usato contro di lei tanto ogni dettaglio che la renda diversa quanto ogni minima somiglianza caratteriale.

Tuttavia, se c’è buon dialogo tra genitore e figlio, saranno minori i conflitti col genitore acquisito, più realistiche le aspettative e più adeguato alla concreta situazione il comportamento.

Accade, per esempio, che la figlia riesca a sentirsi più vicina alla madre proprio in occasione della prospettiva di legame di quest’ultima. Sulla base della loro identità di donne si scambiano i ruoli, si sostengono a vicenda. La più giovane può consigliare la matura, incitandola a sentirsi ancora in gioco nella vita e a cogliere l’opportunità di una rinnovata felicità. La madre, ringiovanita dall’amore e più fragile emotivamente, viene dalla figlia sentita più disponibile e più simile. Insieme scoprono la persona che il ruolo celava e la possibilità di un reale rapporto umano.

Rimane, in ogni caso, il problema della severità di giudizio dei figli sulla personalità del nuovo venuto, i cui difetti sono ingigantiti dalla presunta obiettività dovuta alla distanza. Da parte sua il coniuge che succede al primo non può fare a meno di vivere i figli del partner come un intralcio o un motivo di competizione. Prova spesso sentimenti ambivalenti verso figli non suoi, accettati solo per far piacere al compagno. Si sente perciò, alternativamente, fuori luogo e messo alla prova, sotto i riflettori.

Può reagire allora con un atteggiamento di freddezza o insensibilità, non entrando mai in un vero rapporto. Può al contrario assumere pienamente il ruolo genitoriale, esercitando un controllo autoritario e severo un po’ sopra le righe. Ciò si rivela sproporzionato all’età dei figli acquisiti, i quali non sono comunque disposti a ripartire da zero.

Ancora, può reagire con un sentimentalismo stucchevole, tutto bontà e cortesia, per ingraziarsi l’accettazione dei figli del partner perché sa che solo così quest’ultimo si sentirà più libero e sereno nei suoi confronti.
Dai figli dipende infatti il livello di ansietà del coniuge ed essi possono diventare punto d’appoggio contro di lui in caso di contrasti coniugali.

Infine, nel caso più felice, il nuovo arrivato può restare se stesso e presentarsi come persona con una sua forza e una sua fragilità, dimostrandosi disponibile ad accettare i figli per quel che sono e non solo come residuo di un passato o appendice del partner. In tal caso la chiarezza e la comunicazione non forzata gli permetteranno di conquistarsi grado a grado la fiducia, senza attendersi nulla come dovuto.

Talvolta la situazione si complica per il sorgere di un’attrazione tra il nuovo coniuge e il figlio o la figlia del partner. Si tratta di episodi in genere motivati dall’alto grado di tensione emotiva in gioco. La condizione più pericolosa si realizza quando è l’uomo a sentirsi attratto dalla figlia acquisita.

Le cause possono essere molteplici. L’uomo può essere spinto a una conquista estesa al passato della sua nuova compagna, oppure desideri incestuosi mal controllati in precedenza possono risultare quasi legalizzati dall’esistenza di parentela.

Forse l’uomo teme di aver fatto male a riposarsi poiché ha perduto lo status di uomo libero e si sente quindi spinto a dar prova di indipendenza, per quanto del tutto apparente, focalizzando l’attenzione sulla figlia della partner, più giovane e più “appetibile”.

Altresì, avvertendo una rivalità tra madre e figlia, può approfittarne sentendosi lusingato dall’idea di porsi al centro tra due donne. Sentimenti ostili contro la partner potrebbero condurlo a tradirla “restando in casa”, desiderandone la copia acerba e ancora pulita. Anche il contrasto con la figliastra può trasformarsi in attrazione, per il noto meccanismo che dal disprezzo conduce alla passione, nel tentativo di rabbonire l’odio della ragazza.

Se poi l’uomo ha sentimenti di insufficienza rispetto al ruolo di padre, può cercare di compensarli rendendosi piacevole e seduttivo. Ancora, potrebbe cercare di sedurre la giovane per dimostrarsi superiore al vero padre dalla cui ombra si sente schiacciato.

In ogni caso, c’è qualcosa di troppo in queste fascinazioni, comprensibili ma difficilmente giustificabili. Esse pescano nell’insoddisfazione e nell’incertezza, quando invece c’è bisogno di scelte consapevoli e ponderate.
Il mondo è grande e non si capisce perché ci si debba ostinare a concentrare tutti i propri interessi in un piccolo lembo di terra.

Queste situazioni vanno perciò chiarite subito, nel momento in cui si decide di ricostituire una coppia, e ripulite da tutto il superfluo causato da problemi psicologici che possono solo ostacolare la conquista dell’equilibrio.

Mattia Morretta

Fascicolo n. 60 Enciclopedia Amare, Gruppo Editoriale Fabbri, 1987