Anghingò il mio voto a chi lo do, 1979
6 Ottobre 2014
Il Collettivo le Meteore, 1979
6 Ottobre 2014

Il cesso degli angeli
Graffiti sessuali sui muri di una metropoli
Gamma Libri, Milano 1979

Estratti dei testi scritti da Mattia Morretta

CAPITOLO I - Considerazioni d’ordine generale

(…) Del resto, che l’ambiente specifico del cesso susciti o stimoli la fantasia, le elucubrazioni mentali o il desiderio sessuale non stupisce affatto; basterà ricordare che Lutero (per sua stessa ammissione) ebbe la rivelazione che divenne l’assioma della riforma protestante mentre si trovava nella latrina della torre del monastero di Wittenberg (la famosa “Turmerlebnis” o esperienza della torre). Lo stretto legame tra banalità sublimata e cultura, tra demoniaco e carnalità, concezione escrementale del corpo e negazione della vita corporea, fanno del “cesso” il luogo per eccellenza in riferimento alla condizione di frustrazione della sessualità.

D’altra parte, che defecazione e minzione comportino una diretta associazione psichica con l’istinto erotico è sottolineato da Freud quando rileva che: « Gli escrementi sono legati in modo anche troppo intimo e inscindibile con le cose sessuali; la posizione degli organi genitali, “inter urina et faeces”,, resta pur sempre il fattore decisivo e immutabile. Gli organi genitali non hanno subito i cambiamenti in bellezza che ha subito il resto del corpo, hanno mantenuto l’impronta animale e così anche l’amore è essenzialmente animale, ancor oggi, tanto animale quanto è sempre stato».

La presenza di scritte sui muri dei gabinetti può essere vista in rapporto di continuità con quella che M. Foucault chiama (nel suo libro La volontà di sapere) la fermentazione repressiva della discorsività favorita ed incitata dal potere nel suo progetto di controllo capillare. Nel nostro caso la trasposizione in discorso della pulsione erotica ha la funzione di valvola di scarico di una tensione interna, che soltanto attraverso la locuzione volgare e morbosa può in parte essere scaricata. Al contempo tale “discorso” neutralizza la potenzialità del desiderio negato di porsi come conflittualità diretta e cosciente, nel senso che lascia inalterato il dato di fatto della repressione.

L’atto di scrivere frasi a sfondo sessuale non significa che ipso facto siano cadute le barriere difensive rispetto al desiderio erotico, anzi quell’atto si inserisce nei meccanismi difensivi sviluppati dall’individuo per proteggersi dall’attacco interno (bisogno sessuale) ed esterno (morale sessuofobia). L’apparente atteggiamento “offensivo” e propositivo delle scritte nasconde un sostanziale timor panico della propria sessualità, oltre ad un infantile tentativo di gustare il proibito venendo meno al divieto sociale.

In effetti, le scritte si legano al fenomeno della dilagante pornografia, in  quanto operano sulla medesima base e attingono allo stesso substrato di desiderio-frustrazione-illusione. Si tratta di comportamenti reattivi che smascherano l’incapacità di esprimere e vivere la sessualità in modo spontaneo e libero.

Questi “autori” solitari sono la dimostrazione di come agisce il meccanismo dell’interesse pornografico: la liberalizzazione (programmata dall’alto) di nuove forme di desiderio o tecniche pseudo-erotiche si innesta su un terreno di sessuofobia e impotenza, quindi porta ad estrinsecare desideri sessuali nella dimensione deformata ed alienata per di più in persone che non hanno i mezzi e la possibilità di vivere l’esperienza amorosa in maniera non nevrotica.

In sostanza si realizza quella che Marcuse definisce “desublimazione repressiva”, cioè la de-sublimazione nell’alienazione, che ottiene lo stesso risultato (o effetti ancor più gravi e pericolosi) di una repressione basata su censura, divieto e silenzio in campo sessuale. In tal modo il potere arriva a gestire anche il desiderio individuale plasmandone la forma ed il contenuto, alimentando l’ignoranza oceanica su ciò che la sessualità è realmente, confondendo e mirando all’occultamento della distinzione fra sessualità nevrotica e sana.

L’approccio semantico alle scritte rivela la precarietà dell’equilibrio psichico dell’uomo medio: dietro la facciata di perbenismo e serietà sta un inconscio in ebollizione, che si manifesta in modo articolato nelle psicopatie della vita quotidiana, nelle fantasie sadico-distruttive o masochistiche,  negli abusi fisici e nello scrivere sui muri o nei gabinetti.

Tutto questo marasma di impulsi antisociali non è che il risultato logico dell’inibizione sessuale che determina angoscia, colpevolizzazione, processi patologici, fioritura di bisogni secondari connotati da brutalità, autolesionismo, aggressività irrazionale, malattie menali, dissociazione della personalità, impotenza orgastica, in breve la peste emozionale reichiana. La rinuncia agli istinti in vista dell’adattamento socio-culturale produce il risultato contrario: l’antisocialità.

Prostituzione, violenza, disumanizzazione del sesso sono quindi propri della società moralista, clericale e autoritaria, e queste scritte (nel loro piccolo) sono i frutti maturi d’una intera civiltà edificatasi sulla negazione della vita tramite la negazione dell’Eros, sono le appendici indecorose ma meno mistificate di millenni di società contro natura. Ci si può servire di esse perciò per verificare tutte le concezioni sesso-repressive anche attraverso le espressioni di segno negativo di determinati desideri.

L’atto sessuale per il maschio (o “uomo comune”) è un atto di evacuazione o la dimostrazione di una conquista. Il sesso in tali circostanze non significa nulla di gradevole, con Reich si può affermare che “questa sessualità è una caricatura patologica dell’amore naturale”.
Il rapporto sessuale è visibilmente ridotto a “chiavata”, si dimostra così il carattere deformante delle anomalie prodotte nella sessualità dalla reificazione dei bisogni amorosi profondi.

Si rileva anche che il problema delle scritte sessuali, come di tutta la gestione del sesso, sia essenzialmente maschile, poiché l’unico reale agente e fruitore in quanto soggetto è il maschio, essendo la donna o negata come essere sessuato (in rapporto alla maternità) o considerata oggetto sessuale (assimilata alla prostituta), ma non è mai vista come possibile soggetto sessuale.

Il maschio ci appare gravato da paura, desiderio e odio nei confronti della donna, insicuro e perciò camuffato con aggressività fisica e verbale, terrorizzato (e proprio per questo inconsciamente desiderante) dall’omosessualità, legato ad un priapismo esasperante.

Ciò che scaturisce dalle analisi è la notevole fragilità dell’Io del maschio patriarcale, che riesce a concretizzare la sua identità sesso-sociale solo tramite l’identificazione col ruolo imposto dalla Norma e la fissazione psicoaffettiva al Fallo.

Il maschio appare affetto da una sorta di ossessione e il monismo fallico onnipresente e ripetuto all’infinito nelle scritte ce lo mostra marcescente nel corpo e esclusivamente focalizzato sul proprio pene, senza neppure dover conoscere la lacaniana “significazione fallica”. Non ultimo, la concentrazione nel fallo è anche diretta conseguenza dell’inibizione del desiderio omoerotico e del desiderio fallico nel maschio stesso. Le manifestazioni della virilità rimandano quindi sempre all’omosessualità repressa. E così tutte le espressioni negative del bisogno sessuale, la fallocrazia, l’oppressione della donna e dell’omosessuale, mania e pornografia, si uniscono in un circolo vizioso costruito e fondato sulla repressione della sessualità necessaria a qualunque tipo di potere, e tanto più necessaria quanto più esso nasce da una concezione fallocentrica.

Se ogni manifestazione sessuale promana da una sola energia motrice, cioè “il cazzo”, se il rapporto sessuale viene visto come affermazione e ricerca di identità sessuale e sociale, se la certezza esistenziale deriva dalla capacità di erezione, tanto più il fallo viene identificato col potere”, entità una e trina cui tutto deve tendere.
Un linguaggio dove “inculare” sta per prevaricare ed essere “inculati” significa essere passivi e simili alla donna riflette una precisa ideologia sociale dei rapporti interpersonali.

Occorre affermare che l’interclassismo e l’universalità sono le note dominanti della repressione sessuale, perché nessuna classe può ritenersi risolta, anzi gli operai la pensano allo stesso modo dei borghesi, per non dire che a volte l’atteggiamento della borghesia appare più illuminato, forse grazie alla fruizione di elementi conoscitivi.

Si può asserire che viene attuata l’introiezione da parte degli oppressi dei valori dei detentori del potere, e le classi dominanti a loro volta divengono sostenitrici del moralismo e della negazione della sessualità. Di conseguenza si limitano le capacità critiche e di coscienza anche rispetto all’oppressione socio-economica, perché si creano strutture caratteriali disposte alla sottomissione e la psicologia del potere si regge sulla dipendenza del dominato dal dominante.

Nell’individuo esiste così una seconda natura che lo spinge a sottomettersi al potere padre, stato, padrone, e a ricercare il potere attraverso l’oppressione di altre categorie sessuali e sociali. Non è un caso dunque che le uniche scritte in una logica di rifiuto delle concezioni tradizionali siano opera di punte consapevoli del movimento delle donne e degli omosessuali.

E cosa dire della condizione di repressione sessuale che vige anche tra i militanti della sinistra e della “nuova sinistra”? Il loro atteggiamento prevalente è negatore dell’importanza del bisogno sessuale relegato a vizio borghese o a problema privato (nell’ipotesi migliore secondario rispetto alla priorità dell’economico). Tutto può essere spiegato con la struttura nevrotica che accompagna gli stessi militanti portandoli ad esorcizzare la tematica piuttosto che affrontarla?

CAPITOLO III - La concezione della donna

(…) Interessante il fatto che attraverso queste scritte si realizzi una sorta di ammiccamento tra uomini in riferimento ad un’idea ben precisa sulla donna, che si distacca dalla visione ufficiale della madre, angelo del focolare, e dalla figura virginea o evanescente. È come se essi si scambiassero occhiate d’intesa per confermare a se stessi e agli altri una verità tutta “maschile” che si ritiene di poter utilizzare a proprio favore.

In sostanza, al di là dell’apparenza asessuata della donna c’è una realtà di connivenza col desiderio maschile. La donna manifesta una “naturale” tendenza alla ritrosia, ma solo per camuffare il proprio bisogno di essere posseduta, l’aspirazione alla “dolce violenza” nell’atto sessuale di cui parla lo psicoanalista Cesare Musatti. La donna desidera essere posseduta o violentata, un concetto cui ricorrono gli avvocati difensori degli aggressori e stupratori di turno, un filo rosso invisibile che accomuna e rende solidali i maschi fra loro, convincendoli e rassicurandoli nel loro sadismo erotizzato.

Se è lampante il carattere partigiano e mistificante di tale discorso, è pur vero che il femminismo ha peccato di faziosità nell’affrontare la sessualità femminile, poiché da un lato ha cercato di dimostrare che non esiste un desiderio alienato di essere posseduta, dall’altro lato ha quasi dato per scontato che basti la coscienza dell’oppressione per esorcizzare la questione cruciale del bisogno di dipendenza dal maschio-fallo.

Occorre comprendere appieno che da una parte nelle donne esiste realmente una ricerca dell’aggressività e della superiorità maschile, mentre va negato si tratti di una predisposizione biologica. La donna non è solo negata, ma anche alienata sessualmente, che il suo desiderio si manifesti consciamente o resti affossato nell’inconscio non è determinante e non cambia il dato di fatto. Attualmente l’autogestione dal punto di vista erotico coopera al mascheramento del desiderio, il quale non può che avere una connotazione “perversa”, carica di violenza e masochismo, data la deformazione subita nell’infanzia e nell’adolescenza.

Nella donna l’abitudine alla negazione e all’ipocrisia sessuale possono tutt’al più far sì che il bisogno sessuale alienato si mantenga in uno stato di non razionalizzazione, esprimendosi in modo camuffato tramite alterazioni comportamentali (isteria e nevrosi cosiddette famigliari) oppure secondo moduli più espliciti o metaforici nel sogno.

La donna ricerca il fallo in quanto interiorizzato come simbolo di una superiorità che le viene negata. Se l’uomo cerca la donna per dominarla, la donna cerca l’uomo per appropriarsi del suo pene e colmare un senso di inferiorità che nasce dal ritenere il piacere associato al fallo e al sentirsi da esso dominata. Un desiderio pertanto di aggrapparsi alla figura cui vengono riconosciuti il potere e la sicurezza esistenziale. Perché il maschio è in teoria e in pratica il solo che possa conferire valore, certezza e gratificazione, l’essere che si pone come punto di riferimento per definire ogni altro soggetto ed oggetto.

Così la donna viene “riconosciuta” sessualmente e socialmente soltanto nel rapporto col maschio. L’interesse che l’uomo le concede in apparenza la eleva dalla condizione di nullità, la valorizza, le dà significato, condannandola di fatto alla dipendenza cronica.
In realtà l’essenza della donna in quanto persona e soggetto di desiderio sta da tutt’altra parte.

Nella dipendenza dal maschio ella trova solo la sua negazione a favore di un’aberrante e mistificante valorizzazione. La relazione eterosessuale può essere una corsa in un vicolo cieco alla cui fine il maschio ha posto uno schermo magico che altera l’immagine della realtà femminile. Solo in assenza del fallo la donna “scopre” se stessa e il proprio desiderio erotico autentico. La lotta all’interno del rapporto eterosessuale fiacca la sua energia e la costringe, anche nella ribellione, a farsi carico dei problemi maschili e della concezione maschile dell’esistenza.

La donna non può o non dovrebbe sacrificare la propria liberazione a quella dell’uomo, deve prima ritrovare se stessa come “altro” rispetto al ruolo femminile imposto e a quello maschile che la garantisce in qualità di subordinata. 

È chiaro che non esiste automatismo fra una necessità ideologica e la sua traduzione nella pratica quotidiana. Tuttavia è altrettanto importante che la consapevolezza aiuti a non alimentare equivoci per non trascinarsi in situazioni ambigue e falsificanti. La liberazione del maschio dal suo ruolo è legata solo alla sua presa di coscienza e alla sua volontà, così come quella della donna. 

Mattia Morretta (1979)

Vedi anche:

CAPITOLO IV Omosessualità
Omosessualità nei graffiti murari

CAPITOLO VII La solitudine

La solitudine

CAPITOLO VIII Sessuomania

Sessuomania