Metamorfosi: nascita del Collettivo Le Meteore Dicembre 1979
Il collettivo di Liberazione Sessuale volta pagina e approda a un nuovo capitolo della sua ormai quadriennale storia, il cui aspetto più immediatamente godibile è il cambiamento di denominazione. Niente a che vedere con i film spazialoidi così attuali (Ufo, Guerre stellari, Spermula), né si tratta dell’espressione linguistica di un programma strategico di invasione della terra da parte nostra per ingaggiare una furibonda lotta contro Goldrake o Wojtyla a colpi di rossetti rotanti e mascara spaziale.
Il nome “Le Meteore” risponde a una esigenza sempre più pressante di rilanciare l’attività esterna e interna del Collettivo sulla base dei dati di verifica accumulatisi negli ultimi tempi. Le esperienze di Roma e di Pisa hanno accelerato il processo fino a spingerci a una riorganizzazione globale dei momenti di dibattito e di elaborazione culturale in maniera da renderli più funzionali e fruttuosi.
Come sempre durante il battesimo di un nuovo nato c’è confusione, voglia di fare accanto a incertezze; d’altra parte, l’anno 1979, nonostante le produzione pubbliche (un libro e uno spettacolo teatrale), ha visto un manto soporifero posarsi sul gruppo di persone partecipanti.
La “specializzazione” esterna del CLS ha cioè portato al letargo interno, per cui con i nuovi programmi si intende chiudere un periodo silente caratterizzato anche da crisi di rapporti personali. Una nuova denominazione più aggraziata è necessaria, non solo per considerazioni fonetiche o di migliore ricezione acustica.
Alla base della scelta stanno questioni tutt’altro che irrilevanti.
Anzitutto sentivamo sulle spalle il peso di un retaggio dogmaticamente politico, dovuto all’antico legame con Democrazia Proletaria di cui Elio Modugno era il tramite diretto. Anche se è più di un anno che il Collettivo ha perso la sigla “DP” e si è assestato su posizioni molto diverse dal passato, l’eredità genetica ha gravato profondamente sulla nostra immagine esterna. Non a caso al Convegno di Roma per i redattori di Lambda noi eravamo ancora “quelli di democrazia proletaria”. Si tratta quindi di sfatare definitivamente questa restrittiva illusione di collocarci in un gruppo politico-partitico preciso.
In secondo luogo, volevamo rompere con lo stereotipo del militante del CLS impegnato politicamente, serio e ferreo. La seriosità dell’affermazione “Collettivo di Liberazione Sessuale” ipoteca il discorso, il comportamento, la fisionomia del partecipante tipo; tanto che gli altri tendono a stupirsi incontrandoci in luoghi di incontro o discoteche gay, quasi bastasse qualche bollino di presenze nel gruppo di “liberazione” per essere “liberati”. L'ideologia delle “liberate” è morta e sepolta e non è il caso di dissotterrarla.
D’altronde, la serietà troppo spesso è il travestimento razionale di una mediocrità esistenziale. Il che non significa che d’ora in poi faremo le riunioni nei negozi di Helene Rubinstein, bensì che si vuole farla finita con una concezione razionalistica della liberazione sessuale individuale e collettiva, rifiutando ogni punto qualità che possa farci apparire più “accettabili” dai politicanti di qualsiasi gradazione del rosso.
Vuol dire inoltre distinguersi nel discorso sessuale non più a in base a valori maschili di rispettabilità politica, efficienza, correttezza e coerenza, ma in base al valore alternativo dell’autonomia e al limite del non-sense.
Meglio essere Meteore, corpi spaziali, che corpi liberati secondo etichette e modelli precostituiti. Come direbbe Guattari, meglio delirare la Politica che delirare. È preferibile essere Meteore in continuo movimento evolutivo che pietre terrestri inamovibili e immutabili.
Non che si creda (come alcuni) all’esistenza di spazi incontaminati, mezzi di cultura perfettamente oggettivi, ideologie assolutamente "vere”. Non che si creda di essere gli unici agenti di liberazione o il verbo rivelato. Non si inneggia più alla “purezza” politica contro l’integrazione capitalistica o contro l’imperialismo americano (vedi il fanatismo dei “puri” in merito alla questione movimento gay e stampa).
Non si dichiara più: Lasciate che i gay vengano a noi, due fiale di Libération e il germe ghetto è morto stecchito. Di recente un “compagno” eterosessuale mi ha ingenuamente chiesto: “Ma voi volete portare fuori gli omosessuali dai ghetti?”. La mia risposta spontanea è stata: “E per metterli dove?”, il che non è poi tanto assurdo.
Un progetto resta, suscettibile di continue modifiche e verifiche, restiamo faziosamente diversi, non “assolutisti”. L’assunto “nessuno può liberare un altro” indica sia l’impossibilità sia il non averne il diritto. Pertanto proporsi come collettivo di liberazione risulta pretenzioso e pretestuoso pur nel solo ambito omosessuale.
Tra le altre cose, il binomio “liberazione sessuale” rimane oscuro nel suo significato, ambiguità di un linguaggio che muta e diviene anacronistico quando poco tempo prima appariva futuristico. Misteriosità delle parole che lasciano intravvedere e promettono paradisi terrestri informali. L’assolutizzazione della questione sessuale è un mercato fiorente oggi, la concorrenza è spietata, le ricerche si sprecano.
Si diceva in passato “discriminanti qualitative di base”. Certo, liberazione sessuale, ma quale? Non si può non tenere conto del crescente e massificante programma di liberalizzazione del sesso, la repressione è passata di moda e la “liberazione”, come la “rivoluzione”, assume significati differenti o assurdi che rendono il vocabolo inutilizzabile. Con la moderna e già articolatissima Mitologia Sessuale bisogna fare i conti, si rischia di restare intrappolati in un discorso vischioso carico di soluzioni improntate al maschile.
Se il fallo ora è diventato un pene, non possiamo non vedervi un nuovo dettato impositivo, la fantasmatica virile continua a investirci e a ordinare il nostro desiderio. Sicché si grida: “Diritto all’orgasmo!”. Quale? Quello matematizzato del maschio e del suo riflesso simmetrico femminile? Orgasmo reichiano per il quale siamo relegati in un’economia di carica-scarica e in cui il sesso diventa un ottimo soporifero da far invidia al Valium?
L’aritmetica sessuale maschile rischia di sommergerci, confonderci, accecarci; di questa sessualità non più procreativa ma egualmente produttiva e soprattutto livellante, in termini di genitalità eiaculazione orgasmo, non sappiamo che farcene o meglio preferiremmo non doverla utilizzare come paradigma, neppure nella sua versione gay.
Da tali sabbie mobili non si esce come pensava di poter fare il barone di Münchhausen tirandosi per i capelli, cioè aggrappandosi ad una parte solo per contingenza più “libera”. Come omosessuali non possiamo credere di “salvarci” dal falso mito del sesso vincolandoci a un desiderio omoerotico conformato a regole maschileggianti ed efficientistiche. In fondo, parafrasando Freud, è “la fine di un’illusione”, quella di credere in una “natura” sessuale incontaminata e non strumentalizzabile.
L’Eros (non il sesso) è ancora tutto da rifondare e costruire, da ognuno nel suo spazio vitale senza regole né codificazioni date per uniche. Come scrivono Bruckner e Finkielkraut, “il discorso amoroso è sempre un discorso di minoranza”, poiché non può essere assolutizzato né totalizzante.
Così, per non continuare negli equivoci e per non ridursi a millantare, per non rischiare di confonderci e perderci nel marasma di tecnocrati del sesso, abbiamo preferito attuare una fantastica metamorfosi in Meteore, corpi apparentemente asessuati, nel tentativo, forse altrettanto mitologico di altri, di prospettare una sessualità che non sia soltanto un sesso maschile nelle sue vesti arcaiche e nei suoi odierni panni pragmatici.
Mattia Morretta