Il ponte dei sospiri Cassano d’Adda, Provincia di Milano
A cavallo degli anni Settanta/Ottanta, quando la socialità era un valore e un’esigenza molto sentita, l’occupazione simbolica di spazi pubblici da parte di omosessuali dichiarati non si fermava alla rivendicazione di sedi storiche di incontro nelle principali città del Centro-Nord, ma si estendeva alle periferie provinciali portando a frequentare in massa, alla luce del sole e non solo al chiaror delle stelle, le località disperse qua e là lungo i fiumi, già note da decenni per i contatti occasionali.
Ricordo per esperienza diretta in particolare l’Adda nella zona tra Cassano e Rivolta. Famigliole ed eterosessuali si concentravano in prossimità del ponte al centro del paese, ove il canale Muzza fa da secoli da spalla alla matrice; mentre poco oltre verso sud, in corrispondenza di una centrale idroelettrica e di un’ansa del corso d’acqua, si distribuiva il popolo degli omosessuali alla conquista, per lo più inconsapevole, di propri ambiti sociali.
Così, un luogo segnato dalle avventure private e nascoste di uomini senza identità sessuale o nome, diventava territorio riconosciuto e ufficialmente connotato come frequentato da gay.Oggi, con l’apoteosi dell’individualismo, si è tornati indietro per parecchi aspetti, perché il rito di iniziazione al “mondo gay” si è spostato in circuiti specifici, per lo più chiusi, delimitati da mura e da etichette convenzionali con tanto di tesseramento, il che ha portato alla restaurazione nei posti all’aperto del clima da brigantaggio o latitanza omosessuale della pre-rivoluzione sessuale.
D’altronde, più di recente, la “comunità” inesistente nella quotidianità si è spostata sul web, con il proliferare di chat line e siti dedicati per facilitare gli scambi senza ricorrere a strutture di mediazione.
In proposito, quanto vi sarebbe da riflettere sulle conseguenze della privatizzazione estrema di sessualità e affettività, nonché del venir meno di scopi civili condivisi...
La differenziazione per “categorie” e/o per “mercati” (rivolti a consumatori di prodotti e servizi) dell’intera società, ha comunque sia indotto gli stessi gay a viversi e vivere in termini di “minoranza di costume”, con la necessità di avere esercizi commerciali e mete turistiche di un certo tipo o in esclusiva (vedi la vacanza in Versilia, tormentone con sponsorizzazione politica negli ultimi anni).
Pochissimi, dunque, si avventurano ancora nelle terre di confine, tra natura selvaggia e paesaggio rurale, destinate in precedenza all’espressione di bisogni non integrabili nella vita di tutti i giorni in piccole o medie collettività. Le medesime ragioni che in passato spingevano verso sentieri poco o nulla battuti, adesso risultano scoraggianti o ostacolanti: ci si confonde con chi non c’entra niente; ci si sobbarcano estesi tratti a piedi per allontanarsi dai centri abitati, talora con notevole disagio fisico; la sosta è sempre un po’ inquieta; la solitudine è altamente probabile; la nudità rischiosa o problematica.
Va detto che pure in Lombardia si è consolidata nella stagione calda e nei fine settimana qualche “spiaggia” fluviale, delimitata e con poche vie d’accesso, quale ritrovo gay, cioè riserva per una quota di omosessuali interessati a sentirsi contenuti e tra pari. Penso a quella situata nella provincia di Lecco, a nord, vicino a Porto d’Adda, in una suggestiva scenografia di boscaglia, cappelle devozionali, sistemi di canalizzazione di leonardesca memoria e piste ciclabili.
Nell’area di Cassano, invece, dopo il riflusso del fenomeno collettivo gay, è di nuovo possibile osservare la fauna autoctona e respirare le atmosfere tipiche del minimalismo omosessuale di provincia nella forma “pura”, pressoché immutata. Qui i segni, le figure e i comportamenti omosessuali raccontano storie ordinarie di tipi umani con sessualità appena abbozzate, sullo sfondo di una campagna nella quale il protagonismo e la vanagloria dei topi di città non sono ammessi.
Una sorta di quinta letteraria da epoca del Verismo, con tanto di dimensione della povertà di mezzi e risorse, gestualità e linguaggio gergale o dialettale, modestia nei modi e nell’aspetto, più consoni a chi si arrangia o si adegua alle possibilità esistenti, a chi non va oltre ciò che offre o consente l’ambiente in senso stretto (il paese reale, verrebbe da dire).
Qui abita o meglio passa il popolino omobisessuale, ed è più facile vedere esplicitamente gli umili e gli sconfitti, i rinunciatari e i diseredati, i nostalgici e i fuori moda per principio o partito preso.
Se ci si va, infatti, si accetta implicitamente di “farsi ultimi”, nel senso di esser presi per ritardati, non al passo coi tempi e forse conservatori di costumi reazionari o “omofobici”, potendo al massimo comparire per poco su una “scena non gay” e dovendo attendersi il minimo in termini di gratificazione relazionale.
Non a caso, i sabato e domenica estivi sui massi immediatamente a ridosso del ponte si affollano i “nuovi poveri”, gli stranieri (specie sudamericani) che devono accontentarsi di posti di svago o ristoro lasciati liberi dai ricchi cittadini italiani oramai abituati ad alti standard qualitativi, gay compresi (?).
Si parte dalla piccola stazione, col posteggio gratuito per le automobili, una fontanella e un giardinetto incolto, un bar minuscolo, le biciclette legate a pochi sostegni, i pendolari, i convogli a orario fisso. Poi l’affascinante vecchio “ponte dei sospiri” su solide arcate, sul quale viaggiano i treni locali, dotato di uno stretto corridoio con ringhiera di ferro per il camminamento, in armonia col fiume, la vegetazione e i campanili di chiese in lontananza (anche qui c’entra Leonardo da Vinci, in veste di pittore).
Ogni cosa è intrisa di movimento, insieme all’Adda tutto scorre, una migrazione scandita dai ritmi lavorativi, con soste brevi od escursioni alla ricerca di silenzio e rilassamento.
La costruzione nei dintorni della sopraelevata dell’alta velocità ha profondamente cambiato il panorama, per l’introduzione di piloni giganteschi e argini di cemento armato, la freddezza e l’impersonalità della tecnologia, tanto utile quanto disumana e globalizzante.
Il viaggiatore con bagaglio omosessuale (di tipo e consistenza diversissimi – intendendo la tendenza sessuale e l’idea di sé stessi in proposito) può optare tra lato ovest e lato est del fiume, a seconda dell’esigenza di “imboscarsi” e possibilmente “combinare” oppure di godersi la bella stagione in condizioni più o meno appartate.
In un caso, discesa una scalinata in pietra (gradini ridottissimi a rischio di crollo) e costeggiato un boschetto di satiri e maniaci (in cui stazionano le sentinelle del sesso rapido e si intrufolano i malintenzionati), si hanno a disposizione due o tre alternative per accedere alle sponde caratterizzate da una flora selvatica, percorsi più brevi e altri più lunghi costeggiando la Centrale Elettrica (risalente al 1927), alcune abitazioni con giardini, animali da cortile, il rombo dell’acqua di sottofondo.
Nell’altro caso, occorre attraversare i binari, accettando il brivido del pericolo e dell’illecito, mediante un buco nella recinzione. Ridiscesi dalla parte opposta, ci si parano davanti i campi coltivati, che riducono lo spazio del lungofiume vero e proprio e producono uno strano effetto di contrasto con le presenze degli uomini soli o in piccoli gruppi, i cui corpi nudi appaiono a volte “estranei” al contesto agreste, avendo in mente i contadini/agricoltori vestiti per proteggersi dai raggi del sole.
Nei pressi della sopraelevata si trova l’unico tratto in piano a fior d’acqua sufficientemente ampio da consentire assembramento e “vita di spiaggia”, preferito dalle comitive e dalle coppie o da quanti vogliono “solo abbronzarsi”. Capita di vedervi piantata tra i sassi una bandiera arcobaleno sventolante o ripiegata su sé stessa.
In tutta la zona si possono incontrare maschi di mezza età, maturi e anziani, più raramente giovani, caratterizzati da un’aria dimessa, banale o “normale”, a piedi e talvolta in bicicletta, non pochi sposati e con figli. L’apparenza prevalente è di gente semplice o di estrazione medio-bassa (al di là dell’effettivo patrimonio finanziario), ci sono l’operaio e l’artigiano, il commerciante e l’insegnante, non manca il cantante lirico che prova la voce sotto le volte echeggianti del ponte, né l’individuo la cui rozzezza, trascuratezza e ignoranza fanno a pugni con lo stereotipo del gay esteta e modaiolo.
E si può sentir invitare a consumare sesso con la frase “solo cinque minuti”, pronunciata da stagionati in tuta da lavoro, così come di vedere rivestirsi con abiti da impiegato il tizio poco prima nudo col pene semieretto in mezzo alle frasche, sceso al fiume per l’ora di evasione e follia tra la chiusura dell’ufficio e il rientro tra le mura domestiche.
Un classico è il padre di famiglia che fa precedere il ritorno a casa con la scappatina in un altro genere di bar, per un bicchierino alternativo con compagnie furtive e presto disperse. Più audace e singolare il masturbatore solitario che si intravede da lontano armeggiare col suo basso ventre sul fatidico ponte, per constatare da vicino che indossa con noncuranza mutandine nere col pizzo.
Guardando dalla prospettiva attuale può sembrare sorprendente che soggetti tanto comuni in senso letterale abbiano “preferenze sessuali”, benché oggigiorno non si neghino a nessuno. I vocaboli, in effetti, traggono in inganno: in origine non è la persona ad avere predilezioni, è il suo istinto, o meglio la pulsione a inclinare verso forme fisiche e attributi, come un ago magnetico. L’orientamento sessuale se mai viene col tempo, se lo si educa e coltiva, e analogamente difettano nel patrimonio di base della “inclinazione sessuale” le esigenze di comunicazione, condivisione affettiva, comunione psicofisica.
Ecco allora che in contesti destrutturati risalta meglio l’ampio spettro di impulsi minimali, spinte parziali, voglie primitive, giochi puberali, fantasie e curiosità adolescenziali, attrazioni a scarsa definizione, che sottende i comportamenti che chiamiamo genericamente omosessuali. Le declinazioni elementari, non intellettualizzate o ideologizzate, degli appetiti e dei gusti sessuali sono più evidenti laddove si muovono i singoli individui a passo d’uomo e privi di tessera di riconoscimento, sullo sfondo della “normalità” paesana e dei territori di frontiera (materiale e simbolica).
Parecchi dei “frontalieri” non intendono uscire da quegli interstizi tra la regolarità sociale e sessuale, non hanno motivi per tentare altre strade e utilizzare altri strumenti di conoscenza di propri “simili”, non si arrischiano a lasciar la vecchia via per la nuova e smarrirsi completamente.
Accanto a coloro che vi portano i "rifiuti sessuali" una volta ogni tanto o regolarmente, oppure le improvvise e irrazionali aspettative di contatto erotico col proprio sesso, vi sono quelli che vi vanno a cercare l’erba medicinale e l’acqua fresca di una omosessualità illusoriamente incontaminata e naturale, da opporre a quella sintetica o industriale da manifestare negli appositi contenitori artificiali.
Insieme a chi non si sente gay e non vuol sentirsi “diverso”, che si spoglia convinto di mettersi a nudo tra altri corpi semplicemente umani, si aggira tra gli arbusti o si distende tra le pietre levigate colui che presume di sintonizzarsi col respiro di un piccolo mondo antico, sospendendo l’ego e le competizioni cittadine, non ultime quelle sessuali.
La magia dell’arcadia e delle divinità fluviali, tuttavia, svanisce ascoltando gli aneddoti e i racconti sui piccoli uomini di periferia, che danno la misura esatta dell’immensa solitudine e della reale emarginazione in cui vivono molti cosiddetti omosessuali.
Vecchi trovati morti in casa dopo settimane, i vigili chiamati dai vicini per l’odore di decomposizione dei cadaveri, chi suicida, chi assassinato, lontani da tutti, parenti e amici, fin troppo vicini ai carnefici e ai profittatori o posseduti da un’impulsività distruttiva, votati allo sperpero del sesso e dell’esistenza senza neanche sapere perché.
Quanta umanità provata e ai margini, che porta tutto intero il peso della diversità e dell’isolamento, incapace di proteggersi dalla assenza di concetti e modelli positivi di omosessualità e pertanto preda dei cliché del pregiudizio sulla base delle disposizioni naturali.
In conclusione, si conferma che gli atti omo-sessuali non soltanto si associano a qualsivoglia tipologia umana (più che a qualsiasi ceto sociale, professione e grado di istruzione), ma sono anche compatibili con il dis-orientamento e la dis-identità nella sfera propriamente sessuale.
Può amareggiare dirlo, però sui “materiali grezzi” della maggioranza di attori e comparse di tali commedie e drammi omosessuali non si può costruire neanche una propensione erotica, figuriamoci un’identificazione psicosociale.
Ed è giocoforza chiedersi: cosa hanno da spartire tutte queste espressioni di omosessualità? Può essere che, al di là del sesso, il movente inconscio del giro nel bosco e sul fiume sia la ricerca di una collocazione per una dimensione psicosessuale non mentalizzata e non condivisa, o la tensione a intravedere la propria fugace immagine nello specchio di un altro uomo, se non amico, almeno non nemico?
Vi sono risposte sociali possibili e a chi spettano? In attesa di un’eco, provo a intonare il canto degli alpini* (adattato): Sul ponte di Cassano noi ci darem la mano (più difficilmente un basin d’amor)…
Mattia Morretta (2008)
* (l’ideatore del corpo degli alpini nel 1872 è stato il generale G. Perrucchetti, nato a Cassano d’Adda)