Il profano e il sacro Lipari, Provincia di Messina
La visita del Museo era stata interessante ma anche onerosa, per il numero delle sale e la quantità di reperti esposti. Pur essendoci già stato al mattino presto, ero così ritornato in Chiesa all’ora di pranzo, per trovarvi pace e ristoro. Mancava poco alla chiusura, perciò mi ero recato a vedere l’altare del santo patrono, finalmente libero dai turisti, e mi accingevo a sedermi su una panca per riprendermi.
Prima che potessi farlo, ho notato venire speditamente nella mia direzione un ragazzotto inequivocabilmente addetto alla custodia, se non sagrestano per la troppo giovane età, vestito come un dodicenne, con pantaloncini alle ginocchia e aspetto trasandato. Credendo volesse invitarmi a uscire per poter chiudere l’ingresso, mi sono diretto verso l’uscita mostrando d’aver compreso il messaggio.
Quale sorpresa sentirlo dire: «Ha visto?», indicando la volta della navata laterale con la mano sinistra e al contempo sfiorandomi il pube con la destra, senza fare una piega e con consumata disinvoltura. Ritenendo un approccio incompatibile con la sacralità del luogo e per giunta da parte di un addetto alla Chiesa, ho finto di non registrare il gesto e per un po’ l’ho rubricato tra i contatti involontari. Il giovane si è offerto di farmi osservare da vicino il chiostro e la zona al piano superiore vietata al pubblico per lavori in corso. La mano morta nel frattempo ha dato un altro segno di vita accompagnato da un sorriso di complicità tanto spudorato quanto fuori luogo. Faccia a faccia si notava che l’adolescenza era alle spalle da un pezzo, almeno dal punto di vista anagrafico, poteva avere forse anche trent’anni e ciò giustificava il ruolo di custode di un edificio religioso tanto importante. Il contrasto tra la sua corporatura robusta e l’atteggiamento a quel punto era persino stridente; eppure, l’apparenza non ingannava. Tutto in lui segnalava che lo sviluppo psichico si era fermato all’epoca della pubertà, e non solo dal punto di vista sessuale. Preda di un impulso irrefrenabile aveva lasciato il banco delle cartoline e dei souvenir di cui si occupava per proporsi senza indugio quale cicerone turistico-erotico. L’ho seguito incredulo e tuttavia giocando a mia volta sulla finta ingenuità, con lo scopo di ammirare la zona risalente ai normanni e ai bizantini di cui avevo letto nella guida. Una volta di sopra, mentre effettuavamo il giro panoramico, con la solita manina lesta e il sorriso malizioso, mi spiega che il prete a volte si assenta per giorni e allora lui si trasferisce nel suo appartamento adiacente. Occasioni di licenza più che di libertà, di cui approfittare anche sul piano sessuale, senza che questo implichi una qualche forma di riconoscimento della natura e del significato degli atti compiuti. Nulla di serio, niente da dichiarare alla dogana della coscienza o al dazio della morale (altrui). Le stanze del prelato giacevano in stato pietoso di disordine e quasi caos, a conferma del clima da bivacco fanciullesco. Visto il mio deciso rifiuto di procedere, non ha insistito (solo un «facciamo presto», come allettamento) e si è ricomposto, recuperando la normalità della sua funzione, quasi con gravità. Ridiscesi in fretta, ci siamo salutati con cordialità e un improbabile “arrivederci”. Il portone doveva essere chiuso, l’ora canonica era già trascorsa. Chissà se ha sentito il bisogno di pregare o di confessare intenzioni e atti impuri. Mattia Morretta (2005)