La colpa dei soliti noti: il rischio venereo non calcolato
Premesso che il “sesso sicuro” è una contraddizione in termini e che è meglio lasciar perdere se non si è disposti ad accettare l’idea stessa di rischio, è di una noia mortale sentir ripetere le consuete giustificazioni sul perché e il per come si fanno “cose pericolose”. I colpevoli tirati in ballo sono i soliti: il venir meno della razionalità e l’ignoranza.
Quasi tutti sembrano ritenere vero e assodato che la testa si perda quando il sesso fa da mattatore, perché la ragione verrebbe disattivata e la coscienza resterebbe in silenzio per via dell’abbandono ai sensi.
È il luogo comune più sfruttato per spiegare il non ricorso al profilattico in una data circostanza (o sistematicamente) o l’essersi spinti un po’ in là non volendo o non sapendo trattenere lo slancio, salvo tentare di correre ai ripari dopo la caduta.
Chi si rivolge ai servizi sanitari ha già un minimo di senso dell'orientamento, poiché è purtroppo diffuso l'insabbiare o addirittura murare nel cemento armato i cadaverini delle notti di follia, buttare nel cestino i file contenenti errori o pasticci, resettare il computer di continuo, almeno fino a che non viene presentato il conto dall’organismo o da qualcuno che si lamenta di aver portato a casa ospiti indesiderati e chiede riscontri al probabile proprietario (la catena di sant’Antonio è infinita).
Com’è comodo dare la colpa dell’esposizione al contagio venereo alla irrazionalità: durante l’atto, mentre si è sul più bello, allorché si è scesi in campo e il gioco si fa duro, eccetera eccetera.
Fosse vero, si trattasse di unioni carnali di persone che si attraggono e si congiungono con passione, sarebbe una descrizione accettabile; benché in tal caso sarebbe meno invocabile il raptus o l’impromptu, perché una simile “attrazione” è figlia della luce e matura nella frequentazione, non nasce nella semioscurità o nella totale estraneità. In tali casi, inoltre, la ragione non è mai latitante o in esilio, partecipando al gioco e agli interludi.
Quel che colpisce, in effetti, è proprio il fatto che la perdita di lucidità venga invocata nella più completa premeditazione e con partner che definire sconosciuti è un eufemismo, anzi pure il vocabolo “partner” è usato a sproposito. L’impressione è che entrino in azioni robot di cui è stato smarrito il telecomando o è in avaria il tasto di blocco.
Non c’è alcun interesse in genere a conoscere fisicamente l’altro, la frizione è meccanica, l’interazione corporea minima, mutismo prima e quattro parole dopo, se va bene, per interrogare sullo stato di salute (cioè, malattia) o mostrarsi un po’ inquieti; non è detto, perché molti escono subito di scena, lasciano il campo più veloci di Batman, in fase di pentimento o per evitare testimoni.
Intanto che risuonano le note della marsigliese ( Allons enfants), l’incidentato, attivo o passivo, sussurra sottovoce: “sei sano?”. Ai posteri (o posteriori) l’inutile risposta.
E che prove indiziarie non si è capaci di trovare a carico delle pulsioni “naturali” e della fellonia dell’altro omo, una volta immedesimati nella parte delle vittime del trasporto erotico e della cattiveria dei cam-eroti.
Perché i margini di manovra sono esigui o nulli? Perché sono tutti presi alla sprovvista pur essendo andati in certi posti o a determinati incontri di proposito e sapendo che nel retro, nella cantinetta, nel buio qualcosa poteva accadere?
Per lo più la causa viene attribuita a fattori esterni, che sia la situazione (la notte fonda, l’escursione in alta quota sessuale, il viaggio nel paese di Bengodi), l’ebbrezza alcolica o l’atmosfera lasciva, la fine di una storia a due (durata quel che è durata) o i periodi di astinenza (può essere una settimana o un pomeriggio). Mai che si programmi scientemente quel che pure si fa d'abitudine e che almeno qualcuno rivendica di volere.
Visto che non si ha a che fare con frati in uscita dal convento di clausura (sì, qualcuno ci sarà) o di esploratori di terre sconosciute, non sembrerebbe tanto strano organizzarsi e basta, senza neanche pensarci su molto, al di là del munirsi di preservativi (senza delegare ai gestori di locali le corse di cavalli pazzi), quando si hanno certe intenzioni o disponibilità.
Soprattutto, però, occorrerebbe decidere prima di uscire di casa fino a che punto si vuol arrivare o ci si vuole spingere, di cosa si ha appetito, se è solo questo il livello, e a quali condizioni si è disposti a soddisfarlo. Lo so, alcuni scoprirebbero allora di non potersi permettere un bel fico secco, neppure un basin sul naso.
Se si fa vanto di essere "sessualmente attivi", quasi in senso professionale, se è all’ordine del giorno l’agibilità sessuale, se non si esclude il verificarsi di un incastro sessuale, se si è pronti a cogliere al volo l’occasione, se si conoscono per filo e per segno i locali e i luoghi, perché non si dice a se stessi, ante portam, che si sta andando in macelleria e si arriva invece persino a fingere di recarsi in merceria?
E quando si preferisce o si opta per il pubblico macello in privato, magari custodendo un animo da verginello oppure da traviato per necessità o cruda sorte (quante frottole ci si racconta negli sgabuzzini della falsa coscienza), perché non ci si arma di guanti e detersivi sapendo che è impossibile non sporcarsi le mani e non trovarsi insanguinati dopo aver manipolato quarti di bue e cosce di suino o di pollo?!
Oggi tutti sanno “tutto” sull’Hiv, di recente qualcosina anche sulla sifilide, e lo affermano con spavalderia: hanno con sé il vademecum e possono rispondere alle domandine dei quiz con prontezza e scioltezza.
C’è chi si accusa di “ignoranza” per il rossore che imporpora le gote nel dover riferire del rischio ai medici, dando subito dopo la colpa dell’esser caduto in fallo alla citata non razionalità del sesso.
Non ce n’è uno che si dica o giudichi inesperto, eppure “nessuno nasce imparato”, a eccezione forse dei gay…
L’ignoranza sanitaria, di fatto, è un altro pretesto perché non sono le informazioni a mancare: il fatto è che si è ignoranti di se stessi, perché non si sa cosa volere nella sessualità e come volerlo. Quelli che conoscono a memoria le formulette sulle precauzioni non vogliono saperne di fare un percorso di esperienza omo-sessuale, ritenendosi destinati a una condotta standardizzata.
Quelli che dichiarano “mi piace far sesso”, vogliono poter rischiare senza risponderne, senza far nient’altro che goderne, a mo’ di bebè che cantilenano “ancora ancora, pappa buona”, o di bambini che rubano la marmellata dalla dispensa della mamma.
Non dirò che varrebbe la pena imparare a riflettere o ad analizzare la propria sessualità, basterebbe per i più almeno puntare a organizzare il comportamento, il che implica riconoscerne le caratteristiche di base e assumersene la responsabilità. In troppi sanno “come ci si dovrebbe comportare” ma non hanno voglia di agire con coerenza, essendo troppo impegnativo e in fondo non avendone motivo.
Perché ci si dovrebbe “castrare” o “pre-occupare”? Tanto ci sono i test, le cure se va malino o male, gli esami di riparazione... Tutto è ok, sotto controllo, un immutabile calco di gesso, nessun significato o valore all’orizzonte. La testa va fasciata sempre dopo averla rotta, quando la si recupera, visto che se ne deve fare a meno durante l’agone sessuale. In verità, quella testolina è piena di brutti pensieri, avant et après, e sta sul collo a malapena dovendo nutrirsi delle idee di scarto degli imbonitori commerciali e dei dispensatori di caramelle politiche. San Giovanni decollato, aiutaci tu! Mattia Morretta (aprile 2007)