España en el Corazón: Conversazione con due testimoni oculari del miracolo spagnolo
Avete lasciato Milano molti anni or sono per una località spagnola che ha conosciuto poi in breve tempo una sorta di boom da tutti i punti di vista, compreso quello gay. Avete avuto difficoltà di adattamento alla realtà omosessuale del luogo? Avete cercato da subito o a che punto dell’inserimento sociale il contatto con l’ambiente gay? Tale aspetto che parte aveva avuto nella scelta di espatriare e ha avuto in seguito in quella di restare?
Nel 1993 ci siamo trasferiti in Spagna ed eravamo una coppia già da 8 anni, entrambi avevamo un lavoro e una casa come nella migliore delle favole, quindi le necessità primarie di sopravvivenza non sono da considerare tra le motivazioni alla nostra trasferta in terra iberica. La sieropositività é stata vissuta da me un po' alla stanislavskij, ascoltando i cambiamenti fisici, le rivoluzioni dell’umore, le emozioni che affioravano per un nulla, dandogli un senso; poi è subentrata una certa normalità, non scevra da decisioni dolorose nella sfera lavorativa.
Infatti l’attività che mi piaceva e che sapevo fare meglio, ma implicava grandi sforzi e stress, non potevo più svolgerla e nemmeno potevo sperare di crescere professionalmente, quindi cambiai. Diciamo che i sogni mi si erano accorciati, dovevo essere più realista, orrenda parola per uno che opera nel mondo dello spettacolo.
Il mio compagno ha vissuto la sieropositività forse meglio di me, la sua capacità di reagire é stata sicuramente superiore e più efficace della mia, al punto che un giorno mi disse: “Perché non andiamo in Spagna e apriamo un ristorante?”. Lui l’aveva visitata intorno all’85 da turista vero, andando nei luoghi deputati al divertimento gay, quali: Sitges, Torremolinos, Madrid e ne era rimasto felicemente colpito. Io ci ero stato nel lontano 1980, all’età di 22 anni, un viaggio in mini minor con un amichetto di allora, le cui paure unite alla mia ingenuità non mi hanno fatto godere della gente che era appena uscita dalla dittatura franchista ed era in pieno “destape”, termine che gli spagnoli utilizzano per descrivere la grande gioia, che é durata 10 anni, successiva alla morte di Franco.
Ho visualizzato il distacco dagli amici veri, l’ignoto, la malattia, la morte in terra straniera, le ansie di comunicare la verità a tutti (cosa che non ho mai fatto, per codardia, perché ho il terrore di essere vissuto come diverso, di leggere negli occhi altrui il languore di chi sta osservando il caro amico che morirà o lo sforzo di nascondere tutti questi sentimenti nei loro comportamenti e nelle loro parole, per questo é iniziata una lunga recita).
Nel 1992 faccio un sopralluogo a Barcellona, a pochi giorni dalle olimpiadi, considero fattibile la cosa, e vendiamo la casa che avevamo a Milano. Ho accettato l’idea di essere quello che aiutava a realizzare un sogno, perché forse ai miei non davo troppa speranza. Mettiamo su un piccolo ristorante a pochi km da Bcn, perché andarsene da una città per mettersi in un’altra mi sembrava ridicolo, anche se Bcn ha il mare. Le cose vanno bene, nonostante la quantità di medicine, che influenzano il mio umore, la mia attenzione, che mi rendono famelico e isterico. É un ristorante stagionale e da buoni milanesi non comprendiamo la bellezza di un lavoro di 6 mesi alternato a 6 mesi di riposo. Temiamo la malattia, che ci potrebbe aggredire in piena stagione di lavoro. Allestiamo un nuovo ristorante in un paese limitrofo, uno di quelli che sono sempre aperti, siamo ben accetti e lavoriamo bene tutto l’anno. Intanto le medicine ci cambiano la prospettiva, o meglio non la definiscono, per cui io sono sconcertato e inizio a sognare, ma sono passati 18 anni di sieropositività! Il “che fare” giovanile è un po’ fuori posto.
Quindi la scelta iberica nasce come fuga per attuare qualcosa, per far uscire le nostre potenzialità, anche se ferite. Non ci interessava la scena gay di Bcn, non abbiamo mai pensato di sfruttarla, per esempio aprendo un ristorante gay, benché io abbia ipotizzato di creare una residenza per vecchi gay del nord Europa, in riva al caldo Mar Mediterraneo, più che altro come esercizio di fantasia, un poco decadente.
Quello che é mancato é stata la socializzazione della nostra condizione, presi dallo sforzo di realizzarci. Puntavamo ad una ambientazione “normalizzante”, anche se tutti immaginavano la nostra situazione di coppia gay. Resta il fatto che non abbiamo mai trovato un contesto ostile, anzi sono nate amicizie “normali” anche nella cosiddetta provincia. Abbiamo frequentato e frequentiamo, naturalmente, gli ambienti gay, con motivazioni diverse all’interno della coppia. Io non riesco a ritrovarmi in una discoteca, se non per approfittare di sensazioni tattili.
Nel corso di un soggiorno a Madrid ricordo di essere stato colpito dall’uso spregiudicato di immagini erotiche nelle riviste gay più diffuse, ai confini della pornografia. Mi era parso un segno di arretratezza culturale più che un cedimento alle arti della bassa lusinga commerciale. Di recente ho potuto constatare una svolta verso il politicamente corretto in relazione alle campagne sui cosiddetti “matrimoni gay” (tutto sui preparativi delle nozze e pressoché nulla sullo stile di vita omo-sessuale), con l’occhio rivolto alla stampa e al lettore etero, nel tentativo di avvalorare la tesi della sentimentalità (“tutti in coppia!”). Tanta trasgressione prima, quanto adeguamento adesso alle direttive della causa politica, in un’operazione di normalizzazione di facciata che occulta le fabbriche del consumo erotico. Riprova più evidente l’assenza di veri articoli su Hiv e malattie veneree, soltanto cenni di sfuggita alle cattive notizie in materia di prevenzione, non potendo rischiare di fare “brutta figura”… È una mia impressione o c’è del vero in questa analisi pur sommaria attraverso la pubblicistica di settore?
La Spagna é sicuramente più sfacciata dell’Italia, per quanto riguarda l’uso delle parole e delle immagini, ricordo la querelle per il vocabolo “preservativo” nella pubblicità in Italia, problema che qui non si é nemmeno lontanamente posto. Pensa a quella marca di patatine che si pubblicizza con la frase “a chi non piace la patatina?” ed é stata bloccata dal garante di chissà che. In Spagna questo non avviene e sinceramente ritengo la pratica iconoclasta tipicamente italiana, una pratica che rimanda sempre a una supposta protezione degli innocenti che reputo pericolosa.
Un editoriale della rivista Zero nel settembre del 2005 proclamava: “La lobby gay impone il suo pensiero, realizziamo i nostri sogni”. Per chi ci vive e tuttavia, come voi, è testimone esterno com’è realmente la situazione sociale degli omosessuali spagnoli?
Qui le figure di gay nel cinema hanno fatto un percorso lungo: dalla macchietta fino ad acquistare una spessore intellettuale rilevante (penso a “20 cm”), che li trasfigura rispetto agli stereotipi tipici in Italia dei film di Boldi e de Sica. Attori affermati della televisione e del teatro spagnolo non disdegnano testi inquietanti come “La capra”, che racconta della normalità di un architetto che lascia la moglie per amore di una capra. I giornali gay a distribuzione gratuita, portano tranquillamente pagine di pubblicità di case automobilistiche, marchi di moda. I bar e locali fioriscono in Bcn, e la movida é garantita dal fatto che non é necessario avere nessuna tessera, in questo modo i gay possono spostarsi, scegliere a piacimento passando da un posto all’altro. In Italia c’é la tessera Arci e un biglietto salatissimo di ingresso, con il rischio di trovarsi soli e senza più un quattrino in un locale vuoto.
So che città come Madrid e Barcellona, piuttosto che centri balneari in voga, offrono mille attrattive per il divertimento e lo svago sessuale. Esistono nell’ambito della comunità gay anche iniziative di carattere sociale, servizi di aiuto alla persona, gruppi di discussione sulla sessualità? E vi sono figure di riferimento intellettuali, non appartenenti cioè al mondo dello spettacolo? Ancora, vi risultano spazi di assistenza e sostegno per gli omosessuali nelle strutture pubbliche?
Esistono rassegne di cinema e teatro a tematica gay, con finanziamenti statali, regionali e comunali importanti, in spazi istituzionali quali la scuola delle arti di Bcn. La Spagna non é uniforme in molte cose e per i gay immagino che al sud o nelle zone interne vi siano condizioni differenti, ma credo valga anche per le diverse regioni italiane (penso al Veneto e alla sua impermeabilità culturale accompagnata da un sano pregiudizio).
Ovunque nei Paesi più avanzati si registrano dati sconfortanti sulla diffusione delle infezioni a trasmissione sessuale tra i gay. Vi pare che in Spagna la prevenzione sia attiva e praticata? E le Associazioni anti-Sida sono ancora operative? Secondo voi, si parla più apertamente di sieropositività tra omosessuali rispetto all’Italia (ci si rivela di più)?
Per quanto riguarda i controlli nei luoghi gay, in una sauna centrale di Bcn, la Condal, stazionano in uno stanzino dei medici che anonimamente ti visitano, ti fanno prelievi e ti danno risultati e consigli, indirizzandoti eventualmente alle strutture sanitarie. Nella cura dell’infezione da Hiv gli ospedali mettono a disposizione la possibilità di recuperare l’aspetto attraverso la chirurgia estetica, in forma gratuita. Sono possibili visite tramite internet, con msn messenger.
Per quale motivo vi sentireste di consigliare una visita della scena gay spagnola? Cosa fa la differenza in positivo in rapporto al nostro Paese? Esiste davvero una via iberica alla realizzazione gay?!
Penso che fino a 8/10 anni fa la Spagna sapeva di avere un arretramento strutturale e culturale, anche nei confronti dell’Italia. Per gli italiani c’è un occhio di favore, gli spagnoli hanno un gusto naïf che ancora può incantare il turista italiano, anche se la globalizzazione é intervenuta anche qui, e questo divario si é abbondantemente risolto.
Mattia Morretta (2005)