L'educazione alla prova del sesso
“Se un bambino impara da solo a leggere e a scrivere, tutti se ne compiacciono; ma se impara da solo cos’è il suo corpo, il suo sesso, il suo piacere, e quindi anche l’amore, allora tutti ne sono inorriditi. Vogliamo insegnarglielo noi, e a modo nostro. Così abbiamo inventato l’educazione sessuale. Anzi abbiamo inventato il problema dell’educazione sessuale".
In tal modo il pediatra Marcello Bernardi stigmatizzava l’incoerenza e l’ipocrisia dell’atteggiamento degli adulti, compresi molti sedicenti riformatori, nei confronti di un ambito quale quello della sessualità infantile, in cui equivoci e malintesi si sprecano.
Almeno in teoria, pochi si ostinano ancor oggi a inseguire le chimere di un’infanzia pura e asessuata, mentre i più dibattono dell’opportunità o del metodo da seguire nel rapportarsi alle problematiche sessuali del bambino.
Fatta giustizia della pretestuosa nozione di innocenza infantile, si danno battaglia le fazioni dei prudenti conservatori e dei seri innovatori. Gli uni segnalano i pericoli insiti nel sessualizzare la relazione pedagogica e accusano di fanatismo sessuale la controparte; gli altri si premurano di dimostrare, dati alla mano, che si può parlare di sesso nella scuola o in famiglia senza provocare sconvolgimenti del loro assetto istituzionale e invocano un’istruzione conforme alle più moderne acquisizioni scientifiche.
Tuttavia, dalla brutale repressione al silenzio imbarazzato, dal benevolo paternalismo al discorso responsabile, ciò che è in gioco non è la realtà del bambino ma l’interesse dell’adulto a conservare un’area di monopolio esclusivo per garantirsi di raccogliere quanto vi ha seminato.
La ricerca pedagogica è sempre connessa con le esigenze di adattamento a una data società, al punto che in genere l’educazione finisce per essere nient’altro che “ammaestramento”, imposizione di norme, costrizione al silenzio e forzatura in un ruolo che mortifica la personalità.
Eppure, lo stesso concetto di infanzia è storicamente fluttuante e il bambino come lo conosciamo noi è un’entità molto recente: da piccolo adulto che era (o nella peggiore delle ipotesi somma di errori da correggere), è diventato via via un campo di indagine sempre più specifico sino alla vera e propria industria dell’infanzia dei giorni nostri, supportata da una codificazione scientifica senza precedenti in termini di fasi evolutive, gusti, interessi, tipi di giochi, test intellettivi, desideri sessuali, latenze, traumi e via dicendo.
Quel che si chiede al bambino è di dimostrare la fondatezza di questa o quella teoria. La miseria dell’infanzia non è in effetti esclusivamente sessuale, bensì complessiva in quanto espropriata di ogni iniziativa e di ogni sapere che non sia già stato prescritto dagli adulti.
Nonostante una liberalizzazione sia in atto da tempo e molti timori siano stati fugati, e nonostante la “sessualizzazione” dell’infanzia compaia ormai in quasi tutti i trattati e i testi dedicati all’argomento, in virtù di quel che è stato chiamato un “bagno freudiano”, il bambino pare non poter esistere se non come oggetto di un’istruzione pilotata dall’alto secondo metodi e in vista di fini predisposti dall’adulto.
Il bambino ha solo da imparare e l’adulto solo da insegnare, a dispetto della evidenza del contrario troppe volte sotto i nostri occhi. È l’educatore stesso, pertanto, che deve interrogarsi sul suo ruolo e sottoporre a revisione critica la modalità con cui osserva e “spiega” l’educando. L’idealizzazione dell’ infanzia e la sua mitizzazione servono ancor oggi a perpetrare le peggiori sevizie morali.
L’atteggiamento nei riguardi dell’infanzia dal punto di vista sessuale è sempre stato ambiguo e contradditorio. Se da un lato ne è stata esaltata l’innocenza e si è disposto in modo da proteggerla dalla corruzione, d’altro lato si è sospettato in essa una perversità di fondo, una speciale lussuria talora diluita in malizia, da combattere con ogni mezzo.
Con Freud e la sua teoria della sessualità infantile (il bambino perverso polimorfo e gli stadi della libido) ha trovato sistemazione organica una materia in qualche modo esplosiva e sono state tracciate le linee di sviluppo seguite poi dai vari progetti di educazione sessuale.
Dalle macchine ortopediche del secolo scorso, veri e propri strumenti di tortura, per immobilizzare braccia e genitali e con essi l'istinto o la pulsione (quante infamità giustificate in nome della scienza), alla attuale accettazione della masturbazione e delle attività autoerotiche infantili, il salto è notevole benché ambiguo.
Certo, molti si sentono ancora in dovere di precisare che siamo nell’ambito della immaturità o della pre-genitalità, ma nel complesso gli specialisti riconoscono pienamente il valore e finanche la necessità del piacere nello sviluppo del bambino. Differenziata la genitalità dalla sessualità, fatti i dovuti distinguo, la psicologia interviene a delucidare le fasi e a specificare la particolarità dell’erotismo infantile, la sua distribuzione e la sua plasticità, le sue fissazioni e le sue evoluzioni.
I genitori e gli educatori dovrebbero servirsene per poter rispondere adeguatamente ai bisogni del bambino e facilitargli i passaggi più difficili. Si ha, in verità, la sensazione che spesso più che descrivere si prescriva.
Capita che qualche nome illustre si metta a fornire consigli su come accarezzare o svestire i bambini, predica malattie mentali certe per quei bimbi che dormono nel letto con mamma e papà, oppure criminalizzi l’allattamento artificiale, eccetera. Quando si vuole tradurre la psicoanalisi per ottenerne ricette, si rischia di fare del terrorismo pseudoscientifico.
In effetti, un uso abnorme di un certo sapere ha indotto una generalizzazione dello strumento pedagogico, per cui si è spesso paralizzati dalla consapevolezza della propria ignoranza e si giunge a domandare il parere dell’esperto anche per i più banali gesti quotidiani. Ma i consigli dei manuali, il “buon sesso” illustrato, l’appello alla responsabilità lasciano molte volte poco spazio alla riflessione personale e all’autonomia del pensiero.
Del resto, si confonde il piano inconscio dei rapporti tra genitori e figli col piano cosciente dei loro rispettivi comportamenti. Molti dei fattori in gioco non dipendono dalle attitudini educative dei genitori, e pensare di poter controllare tutte le variabili che condizionano l’avvenire dei bambini è assurdo oltreché pericoloso.
Come ha scritto la psicologa S. Vegetti Finzi, “ciò che è buono e ciò che è cattivo per lui (il bambino), non può essere deciso una volta per tutte”. E comunque, il buono e il cattivo dipendono più dalle opinioni di chi giudica che d’una qualità intrinseca delle esperienze.
Nonostante gli equivoci, gli psicoanalisti in generale sono fautori di una tempestiva e corretta educazione sessuale. A parere di Freud, il bisogno di sapere, la curiosità sessuale, è tanto precoce e intensa nel bambino da contribuire al risveglio dell’intelligenza ed essere perciò fattore di sviluppo intellettuale. Nel suo scritto Istruzione sessuale dei bambini puntava l’indice contro le reticenze, le lacune, l’allusività e la cattiva coscienza degli adulti, condannando l’ipocrisia e l’intimidazione.
Anche la psicoanalista inglese Melanie Klein ha sottolineato il beneficio che l’evoluzione affettiva e intellettiva del bambino può trarre da un’educazione basata sull’onestà e sulla più assoluta franchezza in temi di sessualità: “Se lasciamo che il bambino acquisisca tutte le cognizioni sessuali che desidera avere, man mano che cresce in lui il bisogno di sapere, avremo tolto alla sessualità sia il suo alone di mistero sia la sua pericolosità”.
Il piccolo sarebbe così aiutato a sviluppare ed elaborare più realisticamente le fantasie che produce sul sesso, la nascita e la morte. E verrebbe messo in condizione di utilizzare positivamente le forze mentali collegate con la libido, integrando le informazioni ricevute al livello pulsionale proprio della sua età.
Pertanto, se mostra vergogna o sembra opporre un rifiuto alle nozioni fornite, aggrappandosi per esempio al mito della cicogna, è assai probabile che abbia avuto già modo di formarsi un’idea negativa della sessualità attraverso i messaggi inviatigli non verbalmente dagli adulti, che gli hanno fatto capire che è meglio non porre domande imbarazzanti.
Quando si consiglia di rispondere ai quesiti nel momento in cui vengono posti, per lasciare al bambino l’iniziativa e rispettare i suoi tempi, si dimentica o si sorvola sul fatto che un rapporto e un “discorso” sono già stati intessuti negli anni precedenti.
In questa situazione, riconoscere o ignorare il desiderio del bambino è marginale. D’altronde ciò che egli cerca non è tanto l’informazione tecnica, ma la conferma che il piacere è buono e accettabile, poiché accettato dagli stessi genitori; altrimenti non gli resta che sprofondare nella colpevolezza e nell’angoscia come aveva già intuito. L’informazione sessuale perciò non esaurisce la questione dell’educazione sessuale, poiché l’atteggiamento verso la sessualità infantile non può essere una semplice tolleranza, legata a una accettazione solo mentale e smentita sempre dalla pratica; è necessario che le parole, il comportamento, l’intera personalità dell’adulto possano trasmettere una concezione realistica ed equilibrata della sessualità. Va riconosciuta l'esigenza del bambino di conoscere ed esplorare il proprio e l’altrui corpo sessuato, permettergli una pluralità di espressioni, far davvero spazio alla sua autonomia, abbandonando l’ansia di controllare e proteggere. Le manifestazioni erotiche e sessuali sono un segno di vita e progresso nel bambino, al punto che lo psicologo R. Spitz propone di considerare il gioco genitale nei primi anni un indice valido di buoni rapporti oggettuali e di sviluppo mentale. Non sono i principi o la informazione formale che contano; piuttosto l’atteggiamento, la modalità di reagire, la comunicazione affettiva degli adulti nei confronti del corpo e delle sue funzioni, del piacere e del gioco. Non è questione di linguaggio più o meno appropriato, bensì di rapporto con tutto l’essere del bambino. Ciò presuppone la presenza attiva e consapevole di adulti interessati a formare e non a deformare, non intenti esclusivamente ai loro giochi perversi col sesso.
Testo originale nel Fascicolo n. 57 Enciclopedia Amare, Gruppo Editoriale Fabbri, 1987 Mattia Morretta