L’età dell’incoscienza
Approccio culturale alla prevenzione dell’Aids nelle Scuole Medie Superiori, Azienda USSL 36, Milano, Anni 1994-1995"Non ti sto consigliando di evitare il pericolo, perché so che un adolescente deve fare molte esperienze e non può respingere certi rischi che in definitiva arricchiscono la sua serietà nella vita. E so anche che quelle esperienze bisogna farle come una totalità e non nella dispersione dei fori di un granaio. Un adolescente astuto genera un uomo inquieto. L'egoismo dei genitori fa si che spesso essi vorrebbero che i loro figli adolescenti fossero loro contemporanei, più che la successione, la loro stessa continuità attraverso le generazioni, o quel che è peggio, si lasciano trascinare dai figli, e allora questi sono perduti, perché nessuno dei due è al proprio posto, nessuno rappresenta il fluire della temporalità; gli uni, i genitori, perché si sono lasciati trascinare; gli altri, i figli, perché non dovendo scegliere, si sono perduti rimanendo al buio nello stomaco di un animale più grande. Dopo, con il passare del tempo, quando arrivano a vedere i loro figli sereni, maturi nel loro ambiente, non possono pensare che siano stati quei rischi, quei pericoli la causa della loro serenità successiva, e che i loro consigli egoisti, quando i figli sono ormai adulti, siano un fermento incompiuto, una spina che imputridisce nel subcosciente di tutte le notti." (José Lezama Lima, Paradiso , 1966, Cap. Nono)
Educazione alla salute e prevenzione dell’Aids
Una società che fa dell'informazione un caposaldo della razionalità e del controllo sulla realtà, trova nell'Aids un oggetto ideale di manipolazione e provocazione. L'Aids infatti mette in discussione alcuni miti della modernità, sia sul piano scientifico che su quello relazionale e sessuale, radicalizzando il conflitto in atto nell'Occidente tra sviluppo tecnologico e limiti biologici ed etici. Vengono altresì poste in risalto le contraddizioni e le perversioni del complesso sistema dei mezzi di comunicazione di massa, capace di adulterare ogni elemento di verità o di conoscenza in un vortice di contaminazioni e strumentalizzazioni.
Proprio i dispensatori di "salvezza" e i divulgatori del "benessere" (estetico) si rivelano produttori di disorientamento, malessere, ansietà, nonché di veri e propri danni culturali. Pregiudizi e stereotipi “scientifici" sostituiscono così quelli dovuti alla "ignoranza" o legati alla "tradizione", mentre i nuovi sacerdoti della civiltà del consumo (giornalisti, esperti, medici, tecnici) promuovono dipendenze e passività infantili scoraggiando la ricerca esistenziale e l'elaborazione di pensiero critico.
L'intervento nell'istituzione scolastica non può prescindere dal contesto sociale e dal clima culturale che caratterizza la nostra epoca. Le parole d'ordine del mercato, i modelli di realizzazione propagandati dai protagonisti della scena pubblica, gli slogan della pubblicità che trovano alleati al di sopra di ogni sospetto negli esponenti del mondo scientifico, concorrono a creare una atmosfera improntata all'esaltazione dell'individualismo e dell'edonismo in cui qualunque discorso sulla cosiddetta prevenzione rischia di trasformarsi in una impostura o in una apologia della pseudo-salute di moda.
Il fatto stesso che si ritenga necessario il ricorso a figure di super-specialisti per trasmettere informazioni sull'Aids nelle scuole rivela il livello cui è giunto il malinteso sull'educazione alla salute. Ed è francamente sconsolante che ancora oggi si creda nel potere "taumaturgico" del nozionismo della presunta divulgazione scientifica ad opera dei "tecnici" nell'ambito scolastico, come pure nei vari spazi di vita comunitaria.
Il lavoro culturale ed educativo non può certo essere delegato agli "esperti" da parte delle figure significative dell'entourage dei ragazzi; al contempo è proprio un'ottica culturale e pedagogica che va richiesta a chiunque, da "esterno" all'istituzione scolastica, realizzi iniziative di informazione sulla salute e sulla malattia.
Ciò significa che occorre guardarsi non solo dalla medicalizzazione (l'occhio clinico con cui si guarda agli altri e a se stessi e il microscopio elettronico con cui si esamina la realtà!), ma anche dalla psicologizzazione dei fenomeni e della vita.
Nel contesto della scuola risulta inappropriato e fuorviante sia l'approfondimento specialistico dei temi sanitari sia la riproduzione di metodologie psicoterapeutiche. I giovani cui si rivolge l'intervento vanno concepiti come persone che vivono in un periodo di 'formazione' sul piano intellettuale e sul piano esistenziale; non sono quindi ricettacoli passivi di nozioni e regole, né elementi utili per la conferma di ipotesi sociologiche o teorie psicologiche. Qualunque dato o conoscenza apportato nella fase di crescita dovrebbe poter essere articolato con quanto già acquisito e compreso, allo scopo di contribuire alla elaborazione di una rappresentazione personale e coerente di se stessi e della realtà.
Le informazioni relative alla cura dell'integrità corporea veicolano anche specifiche concezioni della vita e dell'uomo e concorrono al consolidarsi o al dissolversi di norme morali e sociali. La frammentazione del campo del sapere in aree molto caratterizzate produce una specializzazione opportuna solo per la didattica e la ricerca; determina invece dispersione e disorientamento dal punto di vista della formazione culturale o antropologica. Così, l'insistenza sull'aggiornamento e sullo sviluppo tecnologico fa perdere di vista l'importanza e persino la necessità di una trama di fondo della cultura umana, in cui prevalgano gli aspetti di universalità e storicità.
Le conquiste della tecnica migliorano soltanto le condizioni materiali dell'esistenza, ma non ne incrementano il valore e il senso; la vita degli esseri umani infatti trova sostegno e alimento, oggi come ieri, nella dimensione 'spirituale' intesa in senso lato. Per questo la rincorsa al benessere estetico e all'informazione non può essere considerata sostitutiva della ricerca del benessere etico e della coscienza critica.
L'offerta di informazioni dettagliate o settoriali relativamente a tematiche sanitarie o psicologiche rischia pertanto di soprassedere sulla questione dei processi formativi in atto nell'adolescente, in particolare la strutturazione di un "centro" organizzatore della condotta e della personalità.
I temi della corporeità, della sessualità, dell'affettività attraversano praticamente tutti gli argomenti che sono oggetto di programmi preventivi e si collegano alle problematiche generali della sofferenza e della morte come parti integranti della vita. Parlare di Aids allora vuol dire avvicinare il problema dell'identità e della responsabilità dell'uomo, il suo confronto con i limiti, col dolore e la finitezza, nonché le aspettative e le rappresentazioni dell'amore. Il messaggio informativo quindi ha bisogno di un'impalcatura e di un retroterra di tipo culturale e deve inserirsi in una prospettiva di ampio respiro, se davvero intende promuovere una "prevenzione" a misura d’uomo.
La gran parte delle iniziative di informazione di fatto risulta inconcludente o presto archiviata come insignificante a causa dell'assenza di una reale e profonda volontà comunicativa e nello stesso tempo per l'enfasi posta sulla "scientificità" dei dati forniti ai destinatari. Sovente anche la conoscenza delle caratteristiche sociologiche e psicologiche dei gruppi oggetto di campagne o progetti specifici finisce per rivelarsi fallimentare in quanto espediente 'tecnico' che maschera l'inconsistenza culturale e tenta di sopperire malamente alla mancanza di motivazioni e finalità coscienti. Sicché molta della cosiddetta prevenzione si svolge sullo sfondo di un vero e proprio vuoto comunicativo e culturale.
I motivi oggettivi che impongono la realizzazione di iniziative preventive (il diffondersi di epidemie o di conseguenze dannose di determinati comportamenti) dovrebbero correlarsi con le motivazioni soggettive degli operatori che vi si applicano, poiché solo l'investimento personale in una causa ritenuta rilevante dal punto di vista etico e sociale garantisce applicazione e senso di responsabilità adeguati.
Nel caso dell'Aids, non si tratta di fornire un certo numero di informazioni ad alta attendibilità scientifica (cui corrisponde in genere altrettanta sterilità) né di vendere un prodotto - l'uso di precauzioni piuttosto che l'astinenza o la monogamia - rendendolo gradevole e appetibile. Quanto materiale documentale viene giudicato positivamente solo perché valutato "corretto" in termini sanitari oppure "efficace" a livello di immagine (grafica, colore, effetti estetici, ecc.)!! La sostanza del messaggio e la finalità generale, come pure il collegamento con gli altri messaggi attivi e circolanti nella società, risultano irrilevanti o ininfluenti in rapporto alla settorialità dell'ottica prescelta.
L'Aids dovrebbe poter rappresentare un'occasione "moderna" per discutere di questioni fondamentali da sempre oggetto di riflessione e di analisi, a maggior ragione oggi che sono del tutto assenti esperienze di iniziazione socialmente riconosciute o strutturate . L'obiettivo del contenimento dell'infezione da Hiv acquista più senso e valore grazie alla relazione con obiettivi culturali e di portata più vasta, che per altro possono interessare un maggior numero di soggetti. Non è in gioco tanto il tentativo di "salvare" vite umane sottraendo le alla falce dell'Aids, quanto il desiderio di contribuire al lavoro di adattamento alla realtà delle nuove generazioni avendo effettivamente a cuore le loro sorti.
Superando l'ovvietà dell'argomento "attuale" (e di moda) e il debito con il ruolo professionale, l'operatore che programma e realizza iniziative di prevenzione sull'Aids deve potersi interrogare sulla motivazione e sugli scopi del suo lavoro (cosa vuole e perché lo vuole). L'implicazione personale e la messa in discussione sulle medesime tematiche proposte ai destinatari dell'intervento non rendono solo più competenti e adeguati gli operatori, ma sono scelte che conferiscono più "realtà" all'Aids poiché ne tengono conto come un elemento tra gli altri dell'esistenza nel nostro tempo, per tutti e non per alcuni individui o gruppi.
La prevenzione diventa quindi qualcosa di credibile, realizzabile, desiderabile, in quanto sostenuta da idee ragionevoli e convincenti, realistica ben oltre il pragmatismo, voluta e scelta consapevolmente superando le buone intenzioni e le condotte fortemente emotive (re-attive). Senso della realtà e senso della possibilità si sostengono infatti a vicenda e rimandano l'uno all’altro.
Proprio per integrare il tema specifico dell'Aids con le problematiche della cura della persona, da un lato, e con il percorso formativo dei giovani all'interno dell'istituzione scolastica, dall'altro lato, diventa importante il coinvolgimento nei progetti preventivi di figure di riferimento stabili e riconosciute da tutti i soggetti presenti nella scuola.
Il medico scolastico, legittimamente inserito e attivo nel contesto, impegnato nella realizzazione di diverse iniziative di educazione alla salute distribuite nell'arco del corso di studi, può svolgere funzione di trait d'union tra il corpo docente e gli studenti e offrire garanzia di continuità e coordinamento del lavoro educativo. Il medico dell'Istituto, motivato e supportato, può operare in modo coerente e strategico per la divulgazione scientifica, può preparare il terreno per attività e esperienze peculiari e non ordinarie gestite da esterni, può presentare e accompagnare interventi promossi da Enti e soggetti pubblici e privati.
Conoscendo la storia della specifica struttura, le caratteristiche degli insegnanti e degli studenti, l'esistenza di particolari condizioni di salute o di vita (compreso il retroterra familiare) nonché di fattori di rischio dei singoli ragazzi, il medico scolastico è in grado di pianificare le iniziative più opportune e di valutare nel tempo l'impatto e l'esito dei vari interventi attuati. L'ambulatorio medico, inoltre, costituisce un punto di riferimento per la diffusione di materiale di documentazione e di informazioni sui servizi territoriali.
Molto importante è pure la collaborazione del personale docente, che spesso tende a delegare totalmente agli "esperti" la trattazione di determinate problematiche ritenute non pertinenti alla didattica e che rischia a volte di venire sovraccaricato di funzioni e compiti "tecnici" (dovrebbe essere un po' medico, un po' psicologo, un po' sociologo, ecc.). Gli insegnanti vanno informati sulle attività di prevenzione non tanto nel merito delle metodologie usate dagli operatori, quanto in relazione agli obiettivi perseguiti e alle finalità generali.
Soltanto diffondendo il senso e il valore culturale del lavoro di informazione è possibile trovare concreti agganci con le competenze e le funzioni proprie degli insegnanti e individuare le aree di proficuo scambio tra essi e i medici.
Ogni progetto realizzato nella scuola ha infatti delle ricadute sulla dinamica interna delle classi e dell'Istituto, ed è pertanto necessario comprendere e dare significato alle esperienze di cui si partecipa anche solo come "testimoni". Molti contenuti attivati dagli operatori possono risultare utili ai docenti nel rapporto con i ragazzi sia in quanto studenti che in quanto persone.
Il fatto stesso di attuare iniziative informative di spessore culturale nella scuola pone l'accento sulla valenza educativa dell'ambito scolastico, riproponendolo come luogo di stimolo e promozione sul piano intellettuale ed esistenziale, evitando perciò di svalorizzarlo con un uso strumentale (parcheggio, palcoscenico, riserva, regno, ecc.).
Sono gli operatori sanitari o esterni a dover andare incontro alle esigenze e alle caratteristiche della scuola, arricchendole e qualificandole, non pretendendo quindi di imporre linguaggi specialistici e di perseguire scopi incongrui o incomprensibili per gli studenti e i docenti. L'incontro tra le diverse figure in gioco e i differenti obiettivi specifici avviene sul terreno della salvaguardia della natura pedagogica del contesto e delle relazioni intrattenute al suo interno.
Elaborazione e realizzazione del progetto
Nella primavera del 1994, presso il Servizio di Medicina Scolastica della USSL 36 si è costituito un gruppo di studio per l'elaborazione di progetti sulla prevenzione dell'Aids rivolti agli allievi degli Istituti Superiori, tenendo conto delle richieste pervenute alla USSL, degli interventi previsti su altre tematiche nelle medesime scuole e delle risorse effettive di personale. Del gruppo hanno fatto parte sei medici scolastici e uno psichiatra (Specialista Ambulatoriale del Centralino Aids- Ambulatorio M. Infettive), i quali hanno strutturato un lavoro di analisi, riflessione e programmazione nell'arco di alcuni mesi, applicandosi all'aggiornamento e alla formazione per attuare un'iniziativa coerente ed omogenea sul piano del metodo e del merito.
La messa a punto di una strategia operativa, in rapporto ad una concezione generale e condivisa dell'educazione alla salute, implica la necessità di formulare e veicolare messaggi similari con linguaggi omogenei, senza precludere le differenze di stile comunicativo. Il confronto sui principi e i valori, il dibattito e la messa in crisi del proprio ruolo e del proprio sapere, insieme allo scambio di varia documentazione scritta, sono serviti come strumenti per migliorare la conoscenza reciproca e la consapevolezza personale di ciascuno.
È molto utile diventare consci dei quattro livelli su cui si opera nella comunicazione:
1) descrizione della realtà (quel che si fa o è); 2) informazione sulle risorse per intervenire sulla realtà (quel che si può fare o essere); 3) motivazione ad agire o cambiare quel che si vuole fare o essere, considerando gli elementi a disposizione in termini di nozioni e competenza); 4) prescrizione di condotte o modelli di pensiero (quel che si deve fare, essere o pensare).
Oltre a potenziare le abilità comunicative e a rafforzare la motivazione dei suoi membri, il gruppo ha lavorato sull'approfondimento degli aspetti sociologici, psicologici ed antropologici dell'Aids, allo scopo di superare la visione riduzionistica che relega il fenomeno a patologia infettiva e fa della prevenzione solo una questione di "corretta informazione". Ciò ha significato ragionare anche sulla percezione ed il vissuto dei medici in quanto persone e non come tecnici.
Nel 1993 alcuni medici del Centralino Aids hanno realizzato un progetto sperimentale in tre Istituti Superiori ubicati nel territorio della USSL 36, coinvolgendo un ristretto numero di classi del IV anno di corso in una sequenza strutturata di incontri nell'arco di due mesi circa per ogni Istituto. Lo schema seguito a suo tempo è risultato molto impegnativo dal punto di vista del tempo necessario, delle risorse di personale consulente, dell'estensione delle aree e dei soggetti implicati (genitori, docenti, allievi; momenti dedicati all'informazione sanitaria, alla prospettiva psicologica e alla discussione su casi esemplificativi), nonché dell'integrazione con il calendario scolastico.
Il nuovo gruppo ha scelto pertanto dì estendere l'intervento al maggior numero di scuole e di studenti, modificando la composizione del modulo e la sua durata. In pratica si è deciso di operare sulle classi dell'ultimo anno di studi (con alcune eccezioni motivate) di nove Istituti (4 Licei: 1 classico, 2 scientifici, 1 artistico; 5 Istituti Tecnici), selezionati in ragione della presenza al loro interno di un medico scolastico coinvolto nel progetto. In tal modo si è potuto raggiungere un numero considerevole dì studenti tra ì 16 e i 20 anni (circa 800 distribuiti in una quarantina di classi).
Il lavoro è stato pressoché identico per modalità nei diversi Istituti e si è svolto in due tempi: una prima fase gestita autonomamente dal medico scolastico e dedicata ai contatti con gli organi scolastici, all'informazione e alla sensibilizzazione del personale docente, alla somministrazione di un questionario d'ingresso nelle singole classi (mirato alla valutazione delle attitudini e delle conoscenze) e quindi al vero e proprio incontro dì aggiornamento e informazione con gli studenti sulla base dei risultati dei questionari; una seconda fase gestita congiuntamente dal medico scolastico e dallo psichiatra e caratterizzata dalla creazione dì uno spazio di discussione e riflessione in gruppo in ciascuna delle classi (conduzione a cura dello psichiatra), seguito dalla somministrazione dì un questionar io di uscita, a distanza dì alcune settimane, ad opera del medico scolastico.
I questionari usati sono nella sostanza identici a quelli utilizzati nel progetto del 1993, salvo piccole modifiche resesi necessarie, al fine di consentire una comparazione con l'esperienza precedente e di incrementare il dato quantitativo omogeneo e quindi la validità statistica. In alcuni Istituti è stato anche possibile riportare al corpo docente una valutazione sugli esiti dell'intervento.
Il gruppo degli operatori ha sempre accompagnato le attività sul campo con incontri periodici di rielaborazione e supervisione e ha ridiscusso l'intero progetto al termine del lavoro nelle scuole. Difficoltà incontrate a vari livelli, apprendimenti e significati emersi, revisione dì pregiudizi e conferma di ipotesi o aspettative hanno così arricchito ulteriormente l'esperienza del gruppo. L'analisi dell'iniziativa è stata facilitata dall'esame della trascrizione scritta (curata dallo psichiatra) dei contenuti rilevati negli incontri dedicati al dibattito in ciascuna classe, almeno nelle linee generali.
Gli incontri con gli studenti sono avvenuti in orario scolastico, tranne in un caso (nell'Istituto B. Oriani è stata data l'autorizzazione ad un unico intervento dopo il termine delle lezioni - la partecipazione è quindi stata volontaria). In due scuole (Liceo Artistico e Manzoni) il lavoro dì discussione condotto dallo psichiatra sì è svolto in coincidenza con un periodo dì autogestione e ne è stato, almeno in parte, condizionato negativamente (clima dispersivo e minori presenze). In ogni classe sono state effettuate tre ore di diretta interazione: un'ora per l'informazione sanitaria e la verifica delle conoscenze, due ore per il dibattito sulle rappresentazioni e i vissuti relativi all’Aids.
In tutti i casi si è evitato di ricreare la situazione tipica della lezione frontale ed è stata richiesta agli studenti una partecipazione non formale (scegliere di esser presenti pur dovendo esserlo). Gli interventi sono stati attuati in un arco di tempo di sette mesi, dall'ottobre 1994 all'aprile 1995, e hanno interessato i seguenti Istituti in sequenza: Liceo Classico Berchet, Liceo Scientifico Leonardo, Istituto Professionale Stendhal, Istituto Professionale Mazzini, Liceo Artistico I, Istituto Civico Aziendale Manzoni, Istituto Professionale B. Oriani, Istituto per il Commercio Mazzini, Liceo Scientifico Einstein.
In ciascun Istituto si è provveduto a pubblicizzare l'esistenza di servizi per l'informazione e lo screening, coinvolgendo dove è possibile gli studenti nella realizzazione di cartelli da esporre nell'Ambulatorio Medico. Si è pure cercato di collegare l'attività con alcuni servizi territoriali (Consultori Familiari) e con iniziative di consulenza già presenti nelle scuole (Sportelli).
Sono stati somministrati e validati 643 Questionari di Ingresso (196 Maschi e 447 Femmine) e 495 Questionari di Uscita (174 Maschi e 321 Femmine).
Mattia Morretta, 1995