L'uomo e la prostituta
L'erotismo maschile si nutre della fantasia di un oggetto da poter manipolare a piacere e rendere in sostanza duplicazione di se stesso. È di sé che ci si occupa quando si paga una prostituta: per imporre i propri ritmi, godere rapidamente e senza chiedere consenso.
Nulla può accadere su quella scena che non sia già stato previsto dalla regia tutta maschile del sesso. Non è vero quindi che l’uomo ricerchi la novità o l’inconsueto, la sorpresa deve essere ripetizione di qualcosa di assai noto affinché l'auto-referenzialità venga confermata. Si è detto, infatti, che il rituale prostituivo non è altro che uomo-sessualità, poiché l’uomo torna a se stesso attraverso la pseudo-estraneità di una corporeità femminile, valutata economicamente per meglio negarla e svalutarla. Ciò che affascina nella prostituzione è la codificazione dell’interazione sessuale in cui l'uomo può credersi l’unico soggetto a fronte di una donna-macchina, utile all’economia autoerotica maschile. La prostituta non ha sesso: è un buco o un insieme di orifizi che non rappresentano la vacuità angosciante dell'altro sesso, in quanto complessivamente è solo il rovescio della verga. Si cerca in lei non un corpo di donna, ma un’equivalenza narcisistica, una smentita della differenza dei sessi. E il denaro è il mezzo per accedere a questo paradiso unisessuale e risarcire il diniego imposto al sesso femminile. D’altronde, il cliente si aspetta un’insensibilità pressoché totale e un’anestesia generale nella meretrice; non fa certo l’amore per portarla all’estasi orgasmica, anzi, proprio l’imbalsamazione di lei libera il suo piacere. Se pensa di far godere la “partner” è per sollecitare la propria eccitazione e comunque non intende fare sforzi o avere particolari riguardi. Tutto termina con l’emissione del liquido seminale nel tempo concordato. Il piacere vero e proprio forse è minimo, però si è comprato qualcosa di “fantastico”: la cancellazione dell’insidia rappresentata dal misterioso desiderio femminile, l’esorcismo contro la libido della donna. Nel conto va messa senz’altro anche la carica di odio verso il sesso "opposto", la voglia di sopraffazione totale del sesso debole, come se le prostitute fossero incaricate di espiare la colpa dell’esistenza stessa di un sesso femminile. Sappiamo che talora questo rancore arriva fino all’omicidio, pure per arrivare sino in fondo nell'abuso e in parte per la percezione frustrante della brevità e inconsistenza del piacere maschile, la misera aritmetica dell’eiaculazione. Forse il motivo ultimo e più profondo del fascino esercitato dal rapporto mercenario è la soddisfazione di un sogno di passività assoluta. L’uomo paga per abdicare alla attività che si pretende connaturata al sesso forte, per godere cioè senza fare nulla, la sua è l'esigenza infantile di gratificazione di cui la prostituta-madre si prende cura attendendo al membro come a un bimbo. I sessuologi P. Bruckner e A. Finkielkraut hanno scritto in proposito: “Il cliente stesso non è altro che un ragazzino che si eccita e la cui erezione, lungi dall’essere un attributo di virilità, è l’indizio del suo bisogno di assistenza: più si mostrerà eccitato, rigido, più si presterà a essere ridotto alla passività, più la regressione all’infanzia sarà sicura”. Dunque, fra mamma e meretrice non vi sarebbe alcuna antitesi? Del resto, Freud ha sottolineato che l’interesse per la donna di facili costumi discende dal complesso materno e ciò che appare scisso nella coscienza in due contrari confluisce spesso nell’inconscio in un unico elemento. Per sottrarsi inequivocabilmente al fantasma incestuoso l’uomo ricorre alla prostituta, ma per ritrovarvi nient’altro che una madre in un sogno di onnipotenza narcisistica.È forse in tal senso che va inteso quel mater ignota da cui deriva “mignotta”. Mattia MorrettaTesto originale nel Fascicolo n. 86, 1987, Enciclopedia Amare , Fabbri Editori