Una spedizione per esplorare il Banale La Repubblica, Rubrica “Milano Gay”, 8 gennaio 1982
Proprio così: il banale, il quotidiano, l’ovvio, ciò che si vive e pensa quasi automaticamente, ciò che si desidera nella sua forma non adulterata da revisioni intellettualistiche.
La “sartina” innamorata, lo studentello affascinato dalla virilità, il sogno del “fidanzato”, il bi-sogno di sicurezza, la solitudine disperata nonostante il sesso e le compagnie, la Retorica del bisogno amoroso, il desiderio di punizione, l’effeminatezza amata-odiata, il sentimento di miseria esistenziale, la fame d’affetto: in poche parole il mondo dietro le quinte della recita sociale.
Ciò che di norma si dà per scontato nel senso di compreso nel prezzo del vivere, eppure non degno di rielaborazione. Verso la “mediocrità” e la “debolezza emotiva” si va dall’anatema politico alla strumentalizzazione consumistica indiscriminata.
Con i “luoghi comuni” dell’esistenza vanno fatti i conti in solitudine, perché la tolleranza nel sociale per gli aspetti meno maturi della personalità è minima in ambito ufficiale, mentre è sproporzionata e calcolata quando si tratta di specularci sopra.
Ambivalenza di una cultura che relega nell’indicibile quel che contribuisce a creare, impedendo così la comprensione di dati fondamentali dell’emotività.
La vita è fatta di banalità di riempiono un sogno, sostiene un mio amico studente in Fisica. Tutti lo sanno e nessuno lo riconosce. Paura di guardarsi, di partire dall’immagine riflessa piuttosto che dalla figura consegnataci dagli altri nel sociale.
"Vieni, ti porto nella favola mia”, emozioni da poco: quel che verosimilmente ci appartiene.
Gli omosessuali tutti d’un pezzo non esistono: oggetti parziali e frammenti di Romanzo (non nasciamo forse da un dramma borghese?), ciascuno con sospiri e lacrime, croci e delizie, le cantanti (Patty Pravo o Mina) nel cuore. Abbiamo preso alla lettera l’artificio linguistico in campo sentimentale? Non è forse il linguaggio a fondarci in qualità di soggetti simbolici?
Infrangere dunque quel muro di silenzio di eroiche-misere Topiche Amorose, prestar voce a quel che non sta bene o non conviene dire. Restano da trovare “le parole per dirlo”, perché niente ci è più oscuro di quel che abbiamo continuamente sulle labbra.
Mattia Morretta