Politica dell'infanzia e pedofilia
Babilonia, n. 19, ottobre 1984
Non sorprende lo zelo dello stuolo di difensori dell’infanzia, parlano in-vece del bambino, per il quale reclamano il diritto alle migliori condizioni di sviluppo, elencano, calcolano e prevedono il rischio e l’entità del trauma relativi ai fantasmi di rapporti abnormi. Una preoccupazione che svela il senso di colpa di adulti angosciati dall’eventualità di scoprire il cadavere della propria infanzia. Un amore che sa di formazione reattiva, protezione non significa altro infatti che conservazione del monopolio sui corpi e sulle menti dei “piccoli”. Fanno riferimento ad un’ipotetica libertà e ad una presunta maturazione armonica sotto il loro sguardo, solo per meglio mascherare il filo spinato con cui recintano pazientemente, giorno dopo giorno, il campo puerile. Da bravi mallevadori non possono che salvaguardare il seminato in attesa del raccolto, il più possibile aderente alle loro aspettative. Ma quanta potenza e fascino debbono possedere le cattive compagnie, gli stranieri sconosciuti e gli anonimi dispensatori di caramelle, se basta un solo incontro, una sola carezza o addirittura uno sguardo per mandare in fumo il lavoro di anni. Nell’infanzia i grandi cercano esclusivamente se stessi, in essa desiderano redimersi ritagliando un’ideale epoca innocente, pura e vergine. Investono il bambino con i loro rimpianti corrosivi, gli offrono merendine e frustrazioni, lo usano quale ostaggio contro il partner, lo riducono a propaggine, incaricandolo di incarnare il progenitore; sarà il sostituto del fallo e ripagherà l’invidiosa isterica, e poi l’Edipo e l’incesto, le fasi di sviluppo, adesso è troppo presto e ora è troppo tardi. Che ne è dell’erotismo dei minori, del bisogno di altri adulti, delle fantasie di ratto, che pure la psicoanalisi infantile ha portato alla luce? L’illuminato pedagogo sentenzierà che occorre proteggere il bambino dai suoi stessi desideri, in nome del danno incalcolabile, eccetera eccetera. È il pedofilo omosessuale il mostro nell’uso corrente del termine, che si profila lungo il percorso che modella il piccolo a misura e somiglianza dei genitori, colpevole di un oltraggio che non necessita né di pubblico né di violenza fisica. Un criminale per il fatto di esistere, agente di un pericolo nei confronti di una classe di (s)oggetti a rischio. Il pedofilo intellettuale, in verità, si dice attratto proprio dalla miniatura e non da quel che il fanciullo diventerà, e si propone di trattarlo con rispetto consapevole delle cicatrici impresse nel proprio cervello. L'aggressore o assassino è un tipo differente, schiacciato dal timore delle conseguenze giudiziarie e dal terrore di cui è a sua volta vittima, o sopraffatto da una brama di possesso rovescio negativo di quello parentale. La pedofilia è una “passione” o una "mania" che manifesta qualcosa di più dell’attrazione, evocando l’aspirazione a condividere i piccoli che non può che scontrarsi con la politica generale dell’infanzia. Infatti, le donne, che “possiedono” i bimbi, non hanno bisogno di sedurne singoli esemplari altrui. Tuttavia, il pedofilo riassume sovente sinistramente la mostruosità originaria dell’Orco di Michel Tournier: “Vecchio come il mondo, come il mondo immortale, io posso avere solo un padre e una madre putativi e figli adottivi”. Mattia Morretta