Omosessualità e infezione da Hiv in Italia
Popolazione con comportamenti omosessuali
I soggetti che compiono atti omosessuali, pur diversificandosi per stili di vita, estrazione sociale, risorse culturali e posizione professionale, risultano accomunati dalla suscettibilità a esperienze potenzialmente a rischio nell’ambito della vita sessuale.
Anche quando la condotta omosessuale corrisponde ad un orientamento o ad una inclinazione strutturale della personalità, il percorso di auto-accettazione costituisce in ogni caso un nodo critico che mette alla prova le capacità di adattamento e di integrazione del singolo individuo, in maniera non sempre direttamente proporzionale alle caratteristiche di flessibilità/rigidità dell’ambiente, benché l’esplicita o tendenziale ostilità e l’indisponibilità del contesto familiare e sociale non possano che facilitare reazioni di disadattamento ed egodistonia.
Ciascun omosessuale è prima o poi costretto ad avere coscienza della propria preferenza sessuale (in quanto diversa da quella attesa e socialmente rinforzata) in modo più intenso e drammatico di qualsiasi eterosessuale.Ne deriva la costruzione forzosa di una soggettività centrata sul dato sessuale e l’imposizione di una definizione della cosiddetta scelta sessuale nella vita di relazione. Il compito si rivela gravoso per tutti e impari per molti, rendendo più probabili i fenomeni psicopatologici, soprattutto in presenza di altri fattori disturbanti (costituzionali ed ambientali), e accompagnandosi ad inevitabili cicatrici emozionali della lotta per l’affermazione e per l’identificazione.
Non di rado, comunque, l’individuo tende ad attribuire all’omosessualità la causa di tutti i propri problemi (inadeguatezza, disistima, fallimenti, etc.), mentre l’handicap principale è costituito da disagi o disturbi psicologici altrimenti motivati (spesso in famiglie patologiche o patogene), i quali non possono che ripercuotersi negativamente sul modo di vivere e gestire il patrimonio sessuale e affettivo.
Numerosi elementi concorrono a far sì che tanti optino per situazioni e relazioni caratterizzate dalla ambiguità e dalla mistificazione, oppure improntate a sfiducia e persecutorietà, o ancora a rivalsa e provocatorietà, persino nei rapporti di coppia: tra gli altri, l’importanza dell’approvazione familiare, la preoccupazione per la reputazione e la carriera, la complessità dell’opera di elaborazione della tendenza sessuale, l’assenza di strutture aggregative gay favorenti la socializzazione, gli stereotipi spregiativi o caricaturali, la colpevolizzazione e la vergogna per la diversità, il vissuto di pavidità e vigliaccheria.
Ciò favorisce, soprattutto in soggetti psichicamente vulnerabili, fenomeni quali la clandestinità, la doppia vita, la promiscuità, il ricorso a partner mercenari, l’autolesionismo e il vittimismo, l’esibizionismo e il narcisismo reattivo, nonché la frequentazione (pur estemporanea) di ambiti in cui è più probabile il contatto con individui socialmente pericolosi (criminali e psicopatici).
D’altronde, è evidente quanto anche il permissivismo generalizzato dell’epoca contemporanea generi distorsioni e alienazioni nella sfera sessuale, mediante l’autorizzazione superficiale a manifestare e praticare ogni tipo di “esigenza”, nonché attraverso il condizionamento ad adeguarsi a modelli estetizzanti e privi di fondamento (vedi la pretesa di edificare un’identità sessuale e uno stile di vita sul criterio del puro e semplice appetito erotico, oppure la presunta moltiplicazione dei generi sessuali sulla base delle relative fantasie infantili).
L’assunzione della semplicistica “identità gay” propagandata dal mercato specifico, rischia allora di sradicare l’individuo dalla sua stessa umanità, in conseguenza dello sforzo richiesto per abbracciare una causa unilaterale; gli esiti più frequenti sono l’assunzione di una maschera caricaturale e lo stato di prigionia della personalità in una specie di luogo comune inverso. Non manca a quel punto chi trova nella carriera gay il modo per occultare (anche a se stesso) la reale natura e origine dei propri problemi psicosociali ed esistenziali.
Non va sottovalutato il contributo al rischio di contagio e di psicopatologia fornito dalla forte pressione al conformismo esercitata dall’ambiente e dalla sottocultura gay: il soggetto, alle prese con il problema dell’integrazione sociale e dell’accettazione di sé, si ritrova sollecitato ad uniformarsi rapidamente alle norme del mondo gay, che privilegiano l’edonismo e il consumismo, spingendo verso una identificazione quasi esclusivamente sessuale.
Coazione sessuale e sopravvalutazione della sessualità rappresentano per molti la più ovvia espressione dell’emancipazione, perdendo via via la cognizione della parzialità e della deriva patologica di attitudini e abitudini pericolose (compreso l’uso di droghe e farmaci). In aggiunta, va riconosciuto che i circuiti dei locali commerciali destinati ai gay (come saune, bar, discoteche), oltre a puntare sulla sovrastimolazione erotica, sono spesso dotati di spazi per la consumazione dell’atto sessuale in condizioni non solo di assoluta impersonalità e anonimato, ma pure di dubbia o scarsa igiene (compresa l’assenza di preservativi).
Si profila anche in Italia la tendenza, già registrata all’estero, a rifiutare intenzionalmente l’uso di precauzioni nei rapporti sessuali, pur in presenza di elevato rischio per estrema promiscuità, occasionalità, uso di sostanze e persino dichiarazione di sieropositività per l’Hiv.
Ulteriore elemento di riflessione è la constatazione dello svantaggio causato dal concorrere di fattori individuali e collettivi nella connotazione dei gay quali specialisti del sesso, che finisce per determinare il trasferimento e l’espressione nella dimensione sessuale non solo di bisogni e aspettative di altra natura, bensì anche e soprattutto di molteplici forme di disagio. Si attua così una sessualizzazione coattiva di ogni tipo di malessere o esigenza e una erotizzazione impropria delle relazioni interpersonali, facendo del sesso un terreno di coltura di patologie e una sorta di discarica di materiali psichicamente pericolosi.
Il concretismo e il sincretismo sessuale non possono che favorire, insieme all’impoverimento comunicativo, la diffusione di malattie fisiche e psichiche (contagio emozionale di rituali alienanti).
A questo riguardo, è importante mettere in luce l’alto livello di conflittualità con cui viene cercata e vissuta l’esperienza erotica. Quest’ultima, infatti, appare contaminata e governata da notevoli componenti aggressive e violente che, lungi dall’essere disinnescate o poste al servizio di finalità positive, finiscono per diventare il vero scopo della ricerca di incontri sessuali e la reale fonte di godimento per l’individuo (configurando situazioni morbose che spaziano dall’erotizzazione del persecutore alla perversione in senso proprio).
Non sono pochi gli uomini che credono di desiderare atti di unione e lo scambio di piacere e invece si comportano come se dovessero/volessero confrontarsi con un nemico, portando nell’incontro sessuale soprattutto un armamentario offensivo e difensivo a livello emozionale.
Essi fanno sesso, quindi, come se facessero la guerra, e restano convinti di fare sesso a dispetto dei danni (psichici e morali prima ancora che fisici) anche gravi riportati, dei colpi inferti e subìti in rapporti che costituiscono veri e propri combattimenti, a causa di un atteggiamento improntato a una volontà di potenza che parla il linguaggio sessuale ma mira all’uso, alla sopraffazione e infine all’eliminazione (materiale e non solo simbolica) dell’altro.
Allo stesso modo, molti “amano” e costruiscono relazioni di coppia senza rendersi neppure conto di dare espressione soprattutto all’odio e alla sete di risarcimento o vendetta, perseverando nel convincimento di amare anche quando si dedicano al massacro di sé o dell’altro.
Può essere interessante notare come in alcune condotte considerate “tipiche” degli omosessuali nelle metropoli occidentali sembri verificarsi un’esasperazione paradossale del programma istintuale maschile di base, articolato intorno al confronto/scontro tra maschi per la definizione dello status sessuale e delle gerarchie, in cui la competizione è finalizzata ad incrementare le probabilità di riproduzione.
Il prevalere del sesso e della lotta comportano, tra l’altro, una riduzione delle possibilità di sperimentare l’intimità fisica con i propri simili, e quindi di realizzare uno degli scopi principali del comportamento omosessuale. C’è chi può giungere all’assurdo di sentirsi obbligato a compiere gesti sessuali per ottenere un abbraccio o una carezza, cercando in tal modo di godere di una vicinanza corporea e umana altrimenti ingiustificabile e inesigibile.
In tali circostanze è elevatissima la probabilità di ritrovarsi alla fine dell’atto isolati, insoddisfatti e diffidenti esattamente come al punto di partenza. La frustrazione e la delusione provocano a loro volta la ripetizione degli atti ritenuti capaci di dare soddisfazione, generando un circolo vizioso in cui va perduta la capacità di distinguere tra i propri bisogni e tra le strategie adatte per dare loro risposta.
In tutti i casi elencati si impone prima o poi l’evidenza di un fallimento relazionale, poiché la persona pur sperimentando contatti sessuali con numerosi individui non fa esperienza di intimità e fiducia né di vero coinvolgimento corporeo (per assurdo, in media i maschi omosessuali sviluppano tra loro un grado di confidenza minore di quello realizzato tra maschi eterosessuali).
È impossibile congiungersi fisicamente quali esseri umani completi, anche nell’arco di un’intera vita, con un numero troppo elevato di propri simili; la pretesa di usare il gesto sessuale in modo illimitato e onnipotente si rivela sempre vana e causa di grave alterazione delle capacità di comunicazione. Al contrario, ne risultano simulazioni di interesse erotico, approcci sbrigativi e parziali, in cui l’eccitazione (spesso puro eccitamento neurovegetativo) viene scambiata per desiderio e l’incompatibilità fisica e psicologica viene negata con il ricorso a una lingua in apparenza universale e comunicativa (e invece, più spesso di quanto si creda, lingua morta).
Proprio la realizzazione delle fantasie di liberazione “assoluta” di un sesso ormai mitizzato si rivela rovinosa, poiché la vita sessuale risulta dominata da una cupidigia che trova nell’adempimento dei “desideri” la sua punizione, sotto forma di insoddisfazione emozionale e di impotenza orgasmica. L’individuo ripete allora atti pseudosessuali, non accompagnati cioè da sentimenti sessuali, nel tentativo di rimediare alla percezione dell’impotenza e di proteggere la personalità dai confusi segnali di sofferenza registrati in un’area fondamentale di affermazione.
Per tali motivi, è un equivoco ritenere in gioco, soprattutto nella promiscuità istituzionalizzata e standardizzata dei circuiti gay, la cosiddetta “libertà di espressione sessuale”, laddove l’individuo risulta schiavo di coazioni e impulsività non originate da desiderio sessuale. In effetti, non è la pro-miscuità in sé (intesa come disponibilità alla “mescolanza” con altri individui) a costituire una minaccia o un danno certo, bensì la sua trasformazione in dettato e obbligo in un sistema strutturato su scala mondiale e con criteri industriali.
Ciò vale a maggior ragione nelle situazioni in cui le pratiche omosessuali possono essere definite sintomatiche, cioè manifestazioni di accompagnamento di difficoltà o disagi profondi della personalità maschile (discorso naturalmente valido ed applicabile anche alle pratiche e alle persone eterosessuali, compreso il fenomeno dell’egodistonia).
Dal punto di vista delle MTS e delle problematiche relazionali, oltre all’insieme disomogeneo di uomini che si considerano bisessuali o hanno rapporti sessuali con entrambi i sessi in assenza di una precisa definizione, non va trascurato un gruppo di soggetti che agisce l’omosessualità sulla base di problemi di tipo narcisistico (talora di pertinenza psichiatrica). La preferenza per il proprio sesso è allora letterale, mentre l’attrazione verso i partner è marginale e appena abbozzata, più apparente che sostanziale nonostante possa sembrare scontata, a tutto vantaggio delle pretese di centralità, protagonismo, rispecchiamento e manipolazione.
Un altro gruppo poco caratterizzato è composto da maschi che si coinvolgono attivamente o in modo più indiretto in esperienze di tipo omosessuale per soddisfare bisogni confusi e primitivi.
Si tratta di individui in cui la sfera sessuale è assestata su un livello elementare di funzionamento e non comporta né prevede il desiderio di una piena sessualità e affettività omosessuale. Essi avvertono l’esigenza di usare o appropriarsi di parti del corpo altrui, ma non desiderano né concepiscono la relazione con persone dello stesso sesso (manca in generale l’attrazione per l’individualità psicofisica dei membri del proprio sesso, e in molti casi non si può parlare di risposta erotica ad individui dotati della stessa anatomia genitale esterna).
Un ulteriore gruppo ricerca il beneficio del confronto paritario e consolatorio con membri del proprio sesso facendo uso dei genitali per scopi non sessuali e neppure realmente affettivi (il fine sono la rassicurazione emozionale e la difesa di una virilità fragile).
Ai confini del territorio degli atti più propriamente omosessuali, si collocano le esperienze di uomini di orientamento eterosessuale che sono portati a cercare o ad accettare il contatto con travestiti e transessuali, per lo più nell’ambito della prostituzione. La loro sessualità appare impostata su un programma minimale, tipico dell’età puberale o adolescenziale (vuoi per non evoluzione vuoi per regressione transitoria in fasi critiche), e ciò li rende più ricettivi o disposti nei confronti dei segnali amplificati ed enfatizzati di richiamo erotico, i quali, in ultima analisi, risultano ben più fallici che femminili e ottengono anche il risultato di confermare e confortare la loro virilità.
In effetti, non è in gioco il desiderio di rapporto sessuale con un uomo, ma neppure il desiderio di rapporto con una donna; si ha piuttosto a che fare col bisogno di avere a disposizione un oggetto sessuale bivalente che, pur manifestando caratteri esteriori femminili, non appartenga realmente all’altro sesso: un sesso femminile a misura delle fantasie, dei timori e delle esigenze della psiche maschile, concepito quindi quale rovescio e derivato a partire dal sesso maschile!
Il travestito e il transessuale costituiscono perciò un oggetto eroticamente stimolante e emozionalmente comodo, presentando per l’individuo che vi ricorre il vantaggio di sembrare esponenti dell’altro sesso senza lo svantaggio di esserlo veramente, dato che per un uomo eterosessuale la relazione con una donna, come persona e anche come partner sessuale, è molto più costosa e impegnativa (tanto quanto per un uomo omosessuale la relazione con un uomo in quanto persona e in quanto compagno sessuale).
Molte volte è proprio l’elemento della passività (in termini di atteggiamento psichico più che di ruolo o funzione sessuale in senso stretto) a motivare la ricerca di partner sessualmente ambigui.
Va detto che in tali rapporti l’uso del profilattico è più probabile quando è chiaro il loro carattere mercenario, mentre è molto più raro quando sono sperimentati senza transazione economica.
Bisogna altresì riconoscere che anche molta dell’odierna e propagandata bisessualità esprima in ultima analisi soprattutto una tendenza all’avidità pulsionale, una voracità onnivora in cui gli altri indistintamente sono assimilati a cibi da divorare o a specchi delle proprie confuse brame.
Nelle situazioni considerate, oltre al comprensibile e spesso giustificato rifiuto dell’etichetta di gay (definizione che non corrisponde alla effettiva condizione delle persone), le pur articolate proposte di autogoverno della condotta sessuale risultano in qualche modo “incomprensibili” o “fuori luogo”, incontrando resistenze che affondano nel terreno delle difese psichiche inconsce, soprattutto ove domini un atteggiamento emozionale incentrato sulla passività infantile.
Lo stato di abbandono in cui versa la vita omo-sessuale di numerosi individui, non è attribuibile pertanto solo all’omofobia interiorizzata o al timore del rifiuto e della emarginazione da parte degli altri. Il coinvolgimento in pratiche ad alto rischio di natura omosessuale (in maniera episodica o periodica, oppure in determinate fasi della vita), è in genere più frequente quando è deficitaria la capacità di tutela in ragione di una franca psicopatologia, ma anche quando i gesti omosessuali non vengono percepiti dal soggetto come autentici o spontanei (semmai come automatici), e neppure come espressione di una inclinazione o preferenza erotica.
Se gli atti (agiti) non vengono riconosciuti come propri e voluti (o almeno coscientemente desiderati), non possono essere previsti e programmati, tanto meno organizzati (intendendo con ciò la definizione dei limiti d’azione e l’eventuale predisposizione di strumenti per la profilassi).
In queste condizioni, appare evidente la difficoltà di giungere ad una pianificazione dei comportamenti sessuali, che tenga conto delle loro conseguenze biologiche e sociali e non soltanto di quelle psicologiche. Si configura quale operazione di particolare complessità il tentativo di governare una condotta collegata con materiale psichico vissuto dal soggetto in maniera confusa e con grande inquietudine, con un atteggiamento passivo e rigido al contempo.
La mancanza di comprensione del significato e dei bisogni sottesi a tali atti conduce molti a rimuovere integralmente la questione delle malattie sessualmente trasmissibili; in alcuni si alternano fasi di rimozione a fasi di drammatizzazione della preoccupazione per il contagio, che possono portare alla effettuazione di esami di controllo al posto dell’adozione di precauzioni o dell’approfondimento della conoscenza della propria sessualità.
Mattia Morretta (novembre 2000)