Il buono e il cattivo sesso
A prima vista, sesso e bontà non sembrano andar d’accordo. La meta della pulsione sessuale consiste nella ricerca della soddisfazione mediante un "oggetto", che risulta in qualche modo indifferente e a volte “superfluo” (nell’autoerotismo). Il fine giustificherebbe i mezzi.
Pure il fenomeno della sopravvalutazione sessuale dell’oggetto nascerebbe dal livello di difficoltà opposte al soddisfacimento sessuale diretto. Tant’è che, una volta raggiunto lo scopo, si verifica una riduzione notevole dell’impulso sessuale e un ridimensionamento drastico del valore attribuito al partner.
Anche la persistenza del desiderio verso un determinato individuo manifesterebbe un carattere egoistico. Freud ha scritto: “La certezza di poter contare sul ridestarsi del bisogno appena estinto deve senz’altro essere stata il motivo più immediato che ha indotto a rivolgere sull’oggetto un investimento durevole, ad amarlo anche negli intervalli del desiderio”.
Eppure la sessualità costituisce uno dei più potenti dinamismi integrativi, tendenti cioè a porre in stretto contatto gli individui. L’eros mira a unire le persone, a farle incontrare. Basta, però, per tenerle unite? Probabilmente no, se si tratta solo di sesso. L’interesse sessuale è sempre un po’ troppo “interesse” per far posto al gratuito.
La questione, tuttavia, è mal posta. L’amore sensuale si pone a metà strada tra egoismo e altruismo, come qualunque altra esperienza interpersonale. Sulla base della spinta libidica si verifica la ricerca e la realizzazione di un contatto intimo nel senso pieno della parola.
Nel rapporto sessuale può concretizzarsi un modello globale di comunicazione, essendo coinvolti molteplici componenti della personalità e tutti i nostri sensi. E’ un occasione, cioè, di riconciliazione delle forme fisiche e psichiche dell’espressione umana. Un discorso, tuttavia, forse è del tutto astratto.
Si è molto insistito sulle potenzialità terapeutiche della sessualità, quale veicolo di liberazione delle inibizioni e dai blocchi, ancorati a livello corporeo e arenati a livello psicologico. Il piacere sessuale è in grado di raggiungere le zone più intime e arcaiche dell’essere, quei recessi nascosti in cui la “nudità” è ben più che un’assenza di indumenti.
Perché ciò avvenga serve molto di più di un desiderio sessuale, per quanto intenso, e di un’abilità amatoria. Affinché il rapporto sessuale sia una comunione psicofisica occorre che la testa rinunci alla sua egemonia sul corpo e che la coscienza sospenda le sue funzioni di controllo.
C’è bisogno di una fiducia nell’altro che permetta di abbandonarsi, di rischiare la perdita del proprio Io, con la sicurezza che ci sia un ritorno indietro. Si tratta di accettare la rinuncia all’individualità per incontrare un altro essere in una regione non fisica e non mentale: l’estasi del non esser più nulla e essere tutto il mondo nello stesso tempo. Ritrovarsi poi arricchiti, nella coscienza di una solitudine che non è isolamento.
Soltanto in un rapporto sessuale fondato sulla confidenza emotiva la vicinanza con l’altra persona è tale da risultare vertiginosa. Molti temono questo stato di “morte” e di confusione, questo cadere nell’altro avendo superato i limiti di se stesso. Da un’esperienza di tale natura non si potrebbe che uscire mutati, più umili e più buoni. L’amore per l’altro ci ha consentito di raggiungere il "cuore" della nostra persona, in cui è impossibile l’uso dei pronomi personali “io” e “tu” come armi di difesa.
L’autentica e totale gratificazione sessuale, per un principio sessuo-economico (richiamando lo psicoanalista Wilhelm Reich), tende a riprodursi e a sostenere la relazione sulla base dell'effettivo gaudio di stare insieme.
L’intesa genera una memoria del piacere provato che alimenta desiderio verso il partner specifico e privilegiato, e permette di instaurare un regime di soddisfazione reciproca. Il ricordo delle sensazioni di benessere stimola sentimenti di gratitudine e il desiderio di ricompensare. Nasce e si approfondisce il senso di compartecipazione alla vita, un’attenzione sincera all’altro in tutti i suoi aspetti.
Talvolta questo è l’unico vero momento di “contatto” nella coppia e mantiene in piedi un rapporto che magari tenderebbe a estinguersi per il contrasto nelle altre sfere comunicative. Ed è vero pure il contrario.
Alcuni sostengono che, se qualcosa non va, è perché si resta nei limiti di una sessualità pre-orgasmica e di una pseudo-genitalità. Purtroppo non è affatto automatico che un buon grado di intimità erotica estenda il suo benefico influsso al resto della relazione.
Certo, nei momenti di distacco e di contrasto, il pensiero di poter provare piacere e rassicurazione nel contatto fisico col partner aiuta a ridimensionare l’ira e la diffidenza.
Ma l’affinità tra due persone può essere grande e sentita anche in assenza di sessualità. A volte, anzi, solo in assenza di interesse sessuale è possibile la benevolenza. Il sesso ha, in effetti, come conseguenza lo scatenamento di una lotta per il potere e per il possesso.
Del resto, lo psicoanalista Theodor Reik ha descritto anche la passione amorosa come un ciclo di invidia, ostilità e possessività, in cui ci si serve dell’altro a nostro piacimento. Probabilmente hanno un ruolo in queste dinamiche anche la biologia e i residui dell’evoluzione della specie.
L’istinto sessuale conserva un carattere predatorio in cui si rivela l’intento originario di garantire la possibilità di riproduzione, senza molto spazio per la bontà e la cordialità. Il sesso collega l’individuo alla specie, di fronte alle cui esigenze quelle del singolo sono insignificanti.
Gli stessi ormoni, nel periodo fetale, avrebbero la funzione di stabilire una soglia per la sensibilità a determinati stimoli, per dar luogo a un comportamento di attività fisica e predominio o di attività parentale. Ciò in rapporto alla riproduzione e all’allevamento della prole.
La natura si limita a favorire una data condotta in un sesso e la complementare nell’altro, per precauzione. Tuttavia, entrambi i sessi hanno un programma di base che prevede l’intera gamma comportamentale. Sono l’ambiente e la cultura che accentuano e radicalizzano le differenze tra i sessi, oltre ad aver favorito sino ad oggi uno schema di rapporto in cui la differenza si trasforma in opposizione.
È interessante notare che l’unica forma di “bontà” prevista dalla natura sembra essere quella espressa nell’accudimento dei figli, non senza riserve e non senza eccezioni rilevanti: nel mondo animale non mancano esempi di cooperazione e reciproco rispetto fra adulti, che fanno impallidire l’uomo civilizzato.
Se però qualcosa di pienamente umano e innaturale esiste, è proprio la possibilità di costruire profonde relazioni affettive.
L’uomo ha la facoltà di scegliere di applicarsi all’amore, all’approfondimento della conoscenza e alla comprensione di un altro essere. Pertanto, ciò che fa di un rapporto sessuale un possibile momento di disponibilità è tutto quell’insieme di contatti fisici aggiuntivi allo schema del coito. L’ingrediente necessario, quello che permette di riconoscere nell’alto un essere umano cui dedicare cure e amore, è l’intimità fisica, la tenerezza.
Se la sessualità riesce a sostenere ua quota di oblatività senza la previsione di venire ricambiati, è in virtù di ciò che solo la sessualità rende possibile: la comprensione emotiva che ci riporta all’intimità primaria un tempo vissuta con la figura materna.
È la fiducia nella possibilità d’esser finalmente capiti e di non esser destinati a una estraneità senza pause, che unisce la fisicità alla bontà. La tenerezza fisica è quindi la via più breve, eppur così poco percorsa, che permette l’incontro fra esseri umani in una zona di frontiera, indipendentemente dal sesso. Esiste anche la via dell’intimità verbale, per quanto più lunga e tortuosa; l’offerta di parole e pensieri come fossero carezze.
La dimensione affettiva di un rapporto di amicizia, come di un rapporto di coppia, ha bisogno di nutrirsi di identificazione e di immedesimazione. L’aggressività nei confronti dell’altro/a diminuisce o sparisce se lo/la sentiamo simile a noi. Nasce, per usare un termine che fa rabbrividire i più, la pietà.
Non abbiamo altra speranza. Il filosofo Theodor W. Adorno ha detto infatti: “Sei amato solo dove puoi mostrarti debole senza provocare in risposta la forza”.
Che c’entra tutto ciò col sesso? Poco, se si presta attenzione all’erotomania dei nostri tempi. Invece di favorire un coinvolgimento, il sesso proposto in chiave di puro edonismo e consumismo diventa un mezzo per non esserci, per difendersi dal contatto intimo. “Fate l’amore non fate la guerra” è ormai uno slogan ingenuo.
Si fa sesso per questioni di prestigio sociale, per affermarsi o essere alla moda, per eludere le frustrazioni, per tutto tranne che per esser più vicini a qualcuno. Si apprendono tecniche erotiche e tutti i trucchi per apparire amichevoli pur restando nemici. L’unico scopo nella vita è funzionare bene ed essere un “buon” partner sessuale. Così la società si arrampica con noi sul letto.
È evidente che l’atletismo sessuale non è un male in sé e non è per forza peggiore del “dovere coniugale” di una volta. Ma se chiedere un semplice bacio diventa imbarazzante e si fatica a pronunciare una parola mite, l’esistenza è spaventosamente misera.
Il difficile compito che ci spetta è quello di sostenere, come ha scritto il poeta Pablo Neruda, “l’unica e perseguitata tenerezza”.
Mattia Morretta Testo originale nel Fascicolo n. 62 Enciclopedia Amare, Gruppo Editoriale Fabbri, 1987