Turismo gay e malattie veneree
In hotel e club gay europei viene distribuita gratuitamente la rivista in lingua inglese Guide (gay travel, culture & politics), edita in Canada da Pink Triangle Press (sedicente not-for-profit corporation), che affianca ad articoli su tematiche sociali e di costume schede su località meta di soggiorni gay, con mappe e indirizzi di ritrovi di vario genere.
Tra le rubriche fisse non manca quella sulla salute (To your health), che nei mesi estivi è sovente dedicata al souvenir che nessuno vuole (The souvenir nobody wants), cioè le infezioni a trasmissione sessuale.
L’autore descrive uno scenario tipico: sei giunto da poco in una capitale internazionale ricca di monumenti o in un villaggio tropicale ombreggiato da palme e avverti un bruciore mentre stai facendo la pipì, il che ti suona familiare e ti fa immediatamente pensare ai giochetti che hai fatto qualche sera fa.
La smorfia di disappunto che il giornalista disegna sul volto del protagonista non concerne il danno fisico o il ripensamento sul modo o le circostanze del far sesso, bensì le complicazioni derivanti dal dover provvedere alla cura in un luogo in cui non ci si può muovere con disinvoltura.
Per dar più verosimiglianza, si racconta il caso di un amico (interno all'ambiente sanitario) che si è svegliato un mattino con un intenso mal di gola, dopo aver fatto appena in tempo a fare un giro in due sex club nei giorni seguenti l’arrivo in una località del Messico (Puerto Vallarta). Sulla natura dell’affezione ci sono più certezze che dubbi, perché l’interessato ha già avuto un problema analogo anni prima.
Consultare un medico o recarsi in una clinica è la cosa giusta, ma almeno tre ostacoli gli si parano davanti a proposito dei possibili referenti sanitari: 1) capiscono l’inglese? 2) cosa sanno del sesso gay? 3) si potrà parlare liberamente con loro? Detto fatto, opta per una prassi disapprovata dai medici eppure molto comune: dà un’occhiata su Internet e si autodiagnostica una gonorrea faringea.
Preso nota delle denominazioni dei farmaci, in inglese e spagnolo (non era un operatore del settore e un esperto in materia?! Inutile chiedersi perché non abbia con sé un vocabolario, visto che non serve per il sesso con gli autoctoni), va in farmacia e chiede il tal antibiotico, però finisce per acquistare quello che gli propone il farmacista vantandoglielo nuovo e migliore.
Risultato? Nel giro di 24 ore il mal di gola scompare, in compenso gli viene una horrible diarrea! Uno scambio di disturbi e di motivi di vergogna, un bel periodo di svago sprecato…
Il titolare della rubrica sottolinea come sia già piuttosto imbarazzante doversi sottoporre ad accertamenti e cure per una malattia sessualmente trasmessa a casa propria, anche se si ha una buona relazione col medico; niente di paragonabile, tuttavia, con gli inconvenienti e i timori quando l'incidente capita all’estero. Che si debba assumere una terapia è dato per scontato (getting treatment is Paramount), non foss’altro perché quei sintomi rischiano di rovinare un vacanza, per giunta costosa.
L’aggravante principale è considerata l’incognita circa l’atteggiamento degli interlocutori nei confronti dell’omosessualità, quindi il dover sopportare una “potential homophobia or worse ” mentre si tenta di accedere ai trattamenti.
Si ricorda allora che in Nord-America, Regno Unito e Australia si trovano con facilità su Internet Cliniche STD gay friendly, altrove conviene cercare siti gay in inglese per conoscere specialisti e strutture sympathetic. Mal che vada, in Europa si può provare in qualche ospedale pubblico (facendosi fare la ricevuta per l’assicurazione!).
Nei Paesi avvezzi al turismo gay (Messico, Thailandia, Brasile) non è difficile rintracciare in rete medici gay friendly, non disdegnando di farsi consigliare dallo staff dell’Hotel; eventualmente ci si può rivolgere all’Ambasciata e farsi curare da dottori della propria nazionalità in loco.
Infine, il colpo di coda del drago della mentalità autolesionistica: due specialisti consultati dall’autore suggeriscono nomi e dosi di due antibiotici contro Gonorrea e Chlamydia per il fai da te “as a last resort” (noi diremmo ultima spiaggia più che ultima ratio, dato l’ambito), non tralasciando di rammentare che, oltre ai frequenti errori diagnostici, le resistenze ai medicamenti sono molto aumentate e che vale la pena di farsi controllare al rientro al domicilio.
La paginetta si conclude con indicazioni web per Brasile, Francia, Messico, Thailandia, Regno Unito e Stati Uniti d’America (l’Italia non attira i gay d’oltreoceano o forse non esiste - d'altronde, non vi sono liste di professionisti omosessuali).
Alcuni commenti per chi conosce l’italiano: perché in presenza di sintomi si dovrebbe correre a raccogliere informazioni in rete? Perché pensare in termini di omofobia o di privacy? Perché sentirsi tra genti ostili a priori?
Le affezioni veneree riguardano in esclusiva gli omosessuali? Come fanno gli altri? Non è questione di salute in senso lato, ogniqualvolta si fa un viaggio di un certo impegno? Appena giunti in villeggiatura è obbligatorio correre a fare abbuffate e bevute per dimostrare di essersi divertiti?!
È la solita storia: i gay non sono spaventati dalle conseguenze sanitarie degli atti sessuali (infezioni, magari a ripetizione e con cumulo di sequele organiche) e meno ancora dalla scabrosità del sesso ovunque comunque con chiunque.
Gli stessi temerari delle camere oscure e i navigatori intrepidi delle chat line, in giro per il mondo a caccia di prede e trofei, si rivelano mammolette balbuzienti, con ginocchia tremanti, turisti per caso quando si tratta di far fronte a problematiche prevedibili, ordinarie e in fondo familiari per chi è “sessualmente attivo”.
Eccoli sprovveduti dinanzi al computer e alle rubriche telefoniche, tramutarsi da esperti linguisti in sordomuti analfabeti, incapaci di individuare un recapito specifico, impacciati nel mostrare le pudenda o intimiditi nel riferire i sintomi di patologie veneree al personale di una qualsiasi struttura sanitaria pur a gesti.
Con tutti i soldi spesi in dépliant sulla "prevenzione" dell'Hiv, paiono assenti bussola e salvagente, linee da chiamare in caso di necessità, quattro nozioni di base, un bagaglio di esperienze. Non si impara niente, le Associazioni dove sono e cosa fanno, perché non figurano tra i punti di riferimento?!
E nel merito: non verrebbe in mente di rivolgersi al locale ove si è stati a “consumare”, rintracciare il partner (ammesso che non fosse un’ombra o un frammento corporeo), verificare le notizie su Centri sanitari e ONG riportate su brochure o riviste?
E non c’è un amico sul posto o nella terra di origine cui chiedere appoggio? Non era mai stato preso in considerazione l'argomento in patria e nella lingua madre? Possibile che Internet sia la sola risorsa, lo strumento per ogni “bisogno” indipendentemente dal contesto?!
Se gli omosessuali fanno tanta fatica a considerare ragionevole e razionale il ricorso a operatori competenti, non è per il timore di non sapersi spiegare bene e incorrere in diagnosi e terapie sbagliate.
Perché uno specialista o un medico generico dovrebbe sapere tutto sulle pratiche gay per interpretare la sintomatologia? Eccezion fatta per Paesi islamici e angoli del pianeta ove è rischioso ritrovarsi con un banale raffreddore, all’estero non dovrebbero esserci meno remore nel riferire sospetti e ipotesi sull’origine di certi disturbi?
L’omofobia con cui si presume di doversi scontrare non è quella dei medici, o non solo, perché un determinato atteggiamento difensivo per principio e un’ideologia da minoranza braccata sono gli indicatori di una accettazione di sé bloccata e soltanto apparente, una simulazione di auto-coscienza.
Sicché, per i militanti ci si deve attendere che i clinici siano pro o contro e non obiettivi e neutrali, semplicemente adeguati e inadeguati da qualunque parte si schierino, in ossequio alla visione politicamente corretta della società.
Vediamo un po’: il medico gay friendly non fa pesare un’infezione venerea, non è una vera forma morbosa e può diventare persino un credito, perché è contento di curarti e restituirti allo stile di vita gay (?!); il medico gay si commuove dinanzi a una testimonianza di uso di appendici e orifizi perché si immedesima e ricorda i suoi trascorsi; il medico non gay friendly (omofobo?) potrebbe sembrare fartene una colpa perché ti chiede precisazioni o uno sforzo di contenimento e una pausa di riflessione, forse arriva addirittura a nominare la responsabilità personale (cioè, il potere di orientare intenzionalmente l’esistenza), quindi è più probabile che faccia venire a galla un vissuto di appestato (che giace sul fondo del paziente, non del medico).
Per altro, i più pronti a preoccuparsi a sproposito per sintomi venerei son coloro che hanno la coda di paglia e rimuovono sbrigativamente i traumi delle malattie con test e farmaci. Per inciso, rammento che in tutti i manuali e le linee-guide si prescrive di informare i contatti sessuali (partner) quando si riscontra in un soggetto una patologia a trasmissione sessuale.
In verità, sotto l’aspettativa di accoglienza favorevole o positiva, si vede far capolino la fragilità dell’identificazione e della rete sociale, i buchi neri della liberazione cosmetica. Perché a leggere tra le righe si pretende di sentirsi a proprio agio, di non provare sentimenti sgradevoli o imbarazzo (esiste qualcosa di simile in medicina?), e più ancora di non venir criticati in alcun modo e su nessun aspetto della propria condotta.
Si paventa che l’altro possa giudicare, richiamare all’ordine, mettere in discussione, sollevare il velo della gaytudine, la maschera di assertività sessuale dietro cui langue la persona (depauperata, demotivata, depressa).
Se l'esperto di salute e comportamento sessuale non può valutare un fenomeno nell’interesse di chi lo consulta e pensando in prospettiva, tanto vale sostituirlo con un robot telecomandato. Invece di invocare approfondimento e personalizzazione, effettiva formazione sulle tematiche sessuali, dappertutto si assiste al riduzionismo concettuale e relazionale, in nome del pragmatismo e del rispetto dei diritti individuali.
Far conoscere i servizi dedicati e incoraggiare a frequentarli con fiducia è impensabile per i fissati del gay friendly. Alla fine di questo passo si arriverà ai distributori di pillole (antibiotici e antivirali) nei sex club e nei circuiti gay, e perché no a mettere preventivamente in valigia i medicinali appropriati. Auguri.
Sì, gli omosessuali sono una grande famiglia: di disabili sessuali, isolati e soli in mezzo a folle di altri gay che scoppiano di arroganza ed egoismo, senza radicamento nel territorio di nascita e viaggiatori fintamente spensierati a spasso per il globo.
Per forza servono guide per ciechi, crocerossine benintenzionate che godano di spingere carrozzine per handicappati del sesso, ai quali si fanno flebo che anemizzano e indeboliscono soprattutto il cervello, impregnato di luoghi comuni e riflessi condizionati. Già, american generation, i gay, come le ragazze di una vecchia canzone di Cindy Lauper, just wanna have fun.
Verrebbe da concludere: resta a casa, Lassie!
Mattia Morretta (agosto 2009)