Il modello tedesco: Schwules Über Alles?
Si può giudicare il grado di integrazione sociale degli omosessuali tedeschi sorseggiando un caffè nel giardino fiorito di un albergo, in piena estate, nella placida Baviera?
Nel corso di soggiorni brevi in Germania negli ultimi anni ho potuto osservare in loco alcuni aspetti del fenomeno, tenuto conto del fatto che la lingua è per me un limite invalicabile.
Se Monaco è da decenni una delle mete del turismo gay italiano (specie per chi risiede nelle regioni del Nord), non si può dire che vi siano grandi scambi culturali tra gli omosessuali dei due Paesi, perché non si va oltre le parate del sesso, le feste della birra e i ritrovi leathermen.
In effetti, le esperienze tedesche sono decisamente più lontane dalle nostre consuetudini e meno conosciute di quelle francesi, inglesi e statunitensi (per esempio, sulle riviste gay).
L’impressione è che gli stessi tedeschi non tengano molto a farsi pubblicità e siano concentrati sulla vicende interne, intenti ai loro compiti e obiettivi regionali. Se l’attivismo omosessuale è modaiolo e grandioso in Francia, un po’ borioso e frenetico in Spagna, in Germania è fondamentalmente operativo.
In particolare, mentre la Francia detta legge nei prodotti per la categoria e pullula di figure intellettuali, con lo scotto della super-concentrazione a rischio d’alienazione nella megalopoli parigina, la Germania appare più distesa e per così dire “modesta”, con realtà gay improntate al pragmatismo, radicate localmente e distribuite in modo più uniforme nell’ampio territorio.
E dunque, si può prender le mosse da una vacanza in una amena locanda bavarese, a metà strada tra castelli di Ludwig e il lago di Starnberg: confortevoli piste ciclabili ovunque, encomiabile manutenzione del verde e delle strade, vendita diretta del latte nella successione ininterrotta di fattorie, mucche libere nei campi, vivai per la raccolta diretta dei fiori da parte degli acquirenti, panchine vigilate da crocefissi in legno per i viandanti di ieri e di oggi, le bande in costume, le chiese barocche e rococò.
Il maturo proprietario è gay e si pubblicizza sulla stampa di settore, espone all’esterno la bandiera arcobaleno con disinvoltura, ma non ne fa un discorso di minoranza, anzi ritaglia la specificità per la clientela gay nell’ambito di un’offerta rivolta a tutti indistintamente.
Primo punto a favore: porsi e stare tra gli altri e alla pari con la propria identità, che funge da ponte e non da barriera. Secondo punto: differenziarsi e farsi apprezzare grazie alla qualità della proposta. Terzo: rispondere al male col bene, accogliendo gli eterosessuali che bussano alla porta.
Agli italiani, abituati a pagare troppo e con immancabile tessera l’accesso ai locali gay nostrani privi di riguardo, cortesia e “servizi”, non pare vero che si intenda l’impresa commerciale come opportunità per rispondere a bisogni al contempo turistici e sociali.
Perché qui è in gioco qualcosa di ben diverso dalla pensioncina per il sesso a ore o per la coppia (ultima novità di Barcellona e Madrid: hostal para parejas!) e dall’Hotel per chi non vuole testimoni scomodi e perciò preferisce zone di confine.
Forse senza neppure esserne del tutto consapevoli, certe strutture si caratterizzano per gli omosessuali quali luoghi da abitare, con spazi fatti per sostare e risiedere, condividendo il tempo diurno e serale invece della solita piccola notte, pareti ideali ove trovare ospitalità in quanto membri di una comunità senza patria che recano in sé il dolore per la spina nel cuore accanto al desiderio di “divertimento”.
Se guardiamo il panorama dei circuiti per gay, non mancano vani bui e labirintici, accampamenti sotto forma di discoteche e saune, ostelli per l’eterna giovinezza dei sensi, il cui risultato purtroppo è la chiusura in compartimenti stagni e cellette e la conservazione dell’isolamento persino nel proprio “mondo”.
E, a differenza di quel che sembrano credere le guide gay e i diretti interessati, non sono le informazioni sull’ambiente, sui posti giusti per esibirsi, conquistare, evadere o sballare, la richiesta più pressante e specifica degli omosessuali a spasso per il pianeta. Case (aperte e non chiuse) e terre in cui vivere da uomini liberi, sono le esigenze prioritarie e profonde.
Viene spontaneo pensare a quella che Tommaso Giartrosio definisce metafora della camera, ricorrente nell’opera di scrittori omosessuali del Novecento (Forster, Baldwin, Capote, White, Tondelli, cui si può aggiungere la Woolf), nel saggio su Christopher Isherwood a commento del testo di Leoni e Ombre.
Del resto, Isherwood, che proprio nella Berlino degli Anni Trenta aveva potuto dare espressione alla sua “natura”, ha trovato una vera casa soltanto in America, dopo aver tentato l'esperimento di condivisione a quattro a Sintra in Portogallo.
Uno dei passi più difficili da compiere per gli omosessuali, difatti, è andare oltre la conquista di una stanza per approdare al diritto di residenza, concreto e simbolico, in termini sia individuali che sociali.
Perciò, non va spiegata la sensazione di sollievo stando seduti a una delle tavole imbandite nella sala interna, le voci confuse di commensali etero e gay (la bandierina iridata fa da distintivo), le famigliole con bimbi e cani nelle giornate festive all’aperto, con la riproduzione in miniatura del più magico castello di Ludwig che campeggia nel prato, senza alcun imbarazzo degli uni e degli altri.
Aria domestica, casalinga, dolce e quasi noiosa. Certo, poi c’è la sauna nel sotterraneo e soprattutto, in un’area verde posta più in basso e non visibile dal corpo centrale, la piscina ove è consentito il nudismo (il gestore, che dà l’esempio liberandosi degli abiti, ironizza: “in Italia non potete perché c’è il Papa”!), in pratica il ritrovo preferenziale degli ospiti omosessuali, con annessa baita per le coppie che vogliono stare per conto loro.
La sera si mangia presto e colpisce che tutti o quasi i gay alloggiati in Albergo vi facciano ritorno per il rito della cena, che favorisce la conoscenza reciproca con scambi di battute fino a vere e proprie escursioni nel dibattito socio-politico. Analoga situazione a colazione: saluti e sorrisi, giochi di parole non sempre compresi, qualche mutamento di posto per transitorie alleanze.
Uno sguardo ai presenti: anzitutto coppie (due trentenni olandesi, un cinquantenne e un quarantenne di origine messicana, un quasi ottantenne tedesco e un quarantenne tirolese), uomini venuti da lontano o separati da grandi distanze per lunghi periodi. Quindi, single oltre i 50 e gruppetti di amici.
Se ne deduce che vi si cerca principalmente quiete e riservatezza, e tuttavia si avverte una tensione a creare “familiarità”, superando il formalismo di certe transazioni nonché il divieto tutto gay di parlare con estranei se non si hanno moventi sessuali.
Trovo corretto costituire settori a parte per garantire la soddisfazione delle proprie predilezioni (ad es., il nudismo), anche per non imporle agli altri. E ancor più creare opportunità di socializzazione in contesti ordinari di vita, per incontrarsi nei gesti semplici della quotidianità, lontani dalle luci e ombre dello spettacolo, sgravati da maschere trucchi divise, e fuori dalle fabbriche del sesso.
Perché è importante vedersi e conoscersi nella dimensione della normalità, potendo dialogare e condividere con altri omosessuali la nuda e pura compagnia umana.
Poiché agli inizi di agosto a Monaco si tiene il Christopher Street Day, seguito poco dopo dalla Schwules Straßen Fest (festa dei locali gay), si ha modo di esaminare da vicino la sfilata di carri, gli stand di associazioni ed enti, la fiera rumorosa. Il corteo in centro è di fatto una simbolica occupazione (transitoria) del territorio, cui ha diritto comunque ogni “minoranza”.
Infatti, varie categorie sociali e commerciali si avvicendano nel corso dell’anno sul palco in piazza, perché a ciascun frammento di società spetta un pezzo di suolo e riscontro pubblico. Gli astanti e i passanti sono indifferenti o distratti, intanto che i convenuti si compattano e prendono possesso di una vasta porzione della cittadella.
Ecco cos’è: una manifestazione autoreferenziale, che si fa per se stessi e per l’intera comunità gay (compresi quelli che non hanno il coraggio di aderire), più che per il resto della collettività. Fanno lo stesso gli altri “gruppi”: vogliono esserci e contare, fare la propria vita, che si svolge per lo più nei propri ambiti.
Va bene, averne di simili “democrazie”, solo c'è da domandarsi se sia questo il modello cui tendere: gli omosessuali sono, possono o debbono essere una cellula sociale in-dipendente?! La pagnotta tagliata a fette equivale a quella intera?!
Una visita a una delle saune più rinomate della capitale bavarese aggiunge un ulteriore tassello al mosaico. La folla è notevole, sebbene distribuita su un’ampia superficie e su più piani, locali ariosi, ben arredati, confortevoli e illuminati con cura, igiene e servizi adeguati al prezzo, angoli per l’informazione con depliant su alcolismo e abuso di sostanze accanto a quelli sulle malattie veneree; eppure qui la freddezza e la distanza sono più palpabili.
Una volta dentro, tra mura che separano dagli sguardi indiscreti e dalla municipalità istituzionale, è più difficile creare l’atmosfera della appartenenza, perché, non c’è niente da fare, il sesso divide e non unisce, essendo per forza di cose “individualistico”.
La fruibilità dei corpi maschili a portata di mano provoca un cortocircuito della socialità che finisce per bruciarla, benché nella vasta sala relax di fronte alle docce a vista si realizzi un minimo di amalgama spirituale, grazie alla contemplazione dei corpi nudi che si alternano sotto i getti d’acqua e talora sostano sulle sdraio.
La varietà di tipi umani nelle differenti età che spinge il pensiero verso la riflessione sulla mortalità. Forse perché la moltitudine ci rende formiche affaccendate e in perpetuo movimento, sostituibili e alla fine indistinguibili, un’impressione retinica fugace, come il labile effetto erotico.
D’altronde, perché tra omosessuali dovrebbe esserci più calore? Gli uomini son quel che sono, sotto ogni cielo e bandiera.
La lettura di una delle guide gay stupisce non tanto per l’interminabile elenco di Organizzazioni d’ogni genere, quanto per lo scenario di imprenditoria e professionalità inimmaginabile per gli italiani: avvocati, consulenti finanziari, assicuratori, agenti immobiliari, medici, fisioterapisti, psicoterapeuti.
Noto che va molto di moda il massaggio “tantra” e si diffonde anche in Germania il “sex coaching” (era proprio necessario? È per far diventare tutti atleti del sesso?!); c’è pure un club per circoncisi, per promuovere la circoncisione con motivazioni igienico sanitarie e aiutare a non sentirsi menomati.
Infine, il giornale a diffusione gratuita: tanta cronaca di quartiere e di bottega, numerosi trafiletti su prevenzione e condom, qualche articolo scientifico su Aids e sifilide. L’elemento che balza all’occhio è però la costante pubblicità di case produttrici di medicinali anti-Hiv, contrassegnate dal red ribbon, negozi di farmacia, iniziative di solidarietà sponsorizzate dai grandi marchi dell’industria farmaceutica.
Più che una contraddizione in termini, perché gli sponsor fanno bella figura sulla pelle dei malati, siamo ai confini dell’incentivazione dell’infezione da Hiv per eccesso di normalizzazione. Mi viene in mente un antico proverbio cinese: la faina si preoccupa della salute della gallina, non si può dire che lo faccia con le migliori intenzioni.
Mattia Morretta (2009)